Nel caso di richieste risarcitorie da danno sanitario, non basta l’esistenza di linee guida alle quali, astrattamente, il personale medico si sarebbe dovuto attenere: la sussistenza di colpa grave va dimostrata nel caso specifico, indicando gli elementi di prova in base ai quali l’accusa ritiene sul caso concreto che vi sia stata violazione delle buone pratiche mediche. Questo, in sostanza, quanto sostenuto dalla Corte dei Conti dell’Emilia-Romagna nella Sent. n. 49/2016/R – Camera di Consiglio del 23 marzo 2016 – Depositata in Segreteria il giorno 7 aprile 2016. il concetto di colpa grave si differenzia tra l’ambito penalistico (dove per l’esimente in parola viene in rilievo la sola imperizia, non estendendosi anche ad errori diagnostici per negligenza o imprudenza; Cass. Pen. 27.04.2015, n. 26996) e l’ambito giuscontabile (dove la colpa grave del medico sussiste per errori non scusabili per la loro grossolanità o l’assenza delle cognizioni fondamentali attinenti alla professione o il difetto di un minimo di perizia tecnica e ogni altra imprudenza che dimostri superficialità; Sez. III App., n. 601/2004), con ciò introducendo una valutazione ad ampio spettro dell’elemento soggettivo nella responsabilità medica sul piano erariale.
– ai fini della valutazione del nesso causale tra la condotta dei sanitari e il danno indiretto per malpractice medica, non è sufficiente contestare una condotta difforme dalle linee guida prodotte in giudizio dalla parte pubblica (nel caso in cui si dimostri che le stesse sono accreditate presso la comunità scientifica), ma spetta al Pubblico Ministero la dimostrazione positiva che le scelte diagnostiche e chirurgiche operate nel caso concreto si sono poste quale causa efficiente diretta del disagio arrecato al paziente, o ai pazienti, che ha portato alla richiesta di risarcimento del danno liquidato dalla struttura aziendale pubblica.