E’ così vero che i mega-accorpamenti delle strutture sanitarie in atto soprattutto in alcune regioni (come Veneto, Lombardia e Toscana) garantiscono i mega-risparmi previsti? Senza dubbio qualche risparmio c’è, anche se forse non nei termini annunciati. Prendiamo il caso delle direzioni, ad esempio: è vero che si tagliano figure dirigenziali, ma è anche vero che queste ultime, spesso, “rientrano dalla porta di servizio” attraverso il meccanismo dell’aspettativa in altra azienda. In questi casi è evidente che non si tratta di vero risparmio, ma semplicemente di “dirottamento” della spesa in altro conto. Dove si risparmia di più, semmai, è in una serie di costi indotti come quelli relativi alla gestione della struttura: segreterie, staff, autisti, addetti alle relazioni esterne, ecc. Oppure quelli per gli organismi come collegi sindacali, organismi di valutazione, collegi di direzione, consiglio sanitari, comitato unico di garanzia, ecc. Ma non bisogna dimenticare che gli accorpamenti generano anche costi, come quelli organizzativi e sociali: non è immaginabile, infatti, che a fronte di impattanti cambiamenti organizzativi non si generino problemi logistici o “semplicemente” di disaffezione all’impiego. Oltre al rischio che l’accorpamento venga vissuto dalle aziende aggregate, non più sedi direttive, come una sorta di “acquisizione” non condivisa. E se anche nel lungo periodo (ad esempio con il pensionamento e relativo mancato turnover dei dirigenti) forse i risparmi si faranno più significativi, il rapporto costi/benefici a breve e medio termini resta tutto da verificare.