Quali sono i rischi per gli operatori nella gestione degli agenti chemioterapici antiblastici?
E’ la domanda-chiave del primo documento di consenso a livello europeo sulla “Gestione del rischio di esposizione del personale sanitario nella manipolazione dei farmaci antineoplastici iniettabili”, realizzato con il patrocinio di Sifo (Società italiana farmacisti ospedalieri) e di Aiiao (Associazione italiana infermieri di area oncologica), con il contributo incondizionato di Becton Dickinson.
I farmaci antiblastici sono considerati “cancerogeni per l’uomo”, ha messo in evidenza Iarc, Agenzia Internazionale per la Ricerca sul Cancro.
In relazione al rischio di esposizione, la normativa comunitaria di igiene e sicurezza in ambiente di lavoro, recepita nell’ordinamento nazionale (Dlgs 81/08 e s.m.i.) impone l’esecuzione della valutazione del rischio e la realizzazione di tutte le misure di sicurezza da parte del datore di lavoro che impiega l’Rspp, nonché indicazioni dei dirigenti di settore e/o di ulteriori figure del management.
Per chi gestisce i farmaci antiblastici le possibili vie di esposizione più frequenti sono quella inalatoria o da contatto con rischio di tossicità acuta o tardiva. I farmacisti ospedalieri sono i professionisti responsabili del controllo delle prescrizioni e della preparazione in sterilità dei chemioterapici, immunoterapici e farmaci biologici.
Queste attività vengono condotte all’interno di Unità denominate Ufa – Unità farmaci antiblastici ovvero strutture per la manipolazione dei farmaci chemioterapici, la cui finalità è quella di garantire la qualità del prodotto finito e la sicurezza in tutte le fasi dell’attività di preparazione.
Oggi delle 331 oncologie censite in Italia, circa l’80% sono servite da Ufa; in media ciascuna unità ha un volume di attività che si aggira sulle 20.000 unità di somministrazione per anno e in ogni singola unità sono impiegati 1 o 2 farmacisti e 3 o 4 tecnici/infermieri.