“Il Sistema sanitario italiano ha un disavanzo ormai inferiore al mezzo miliardo di euro su circa 113/114 miliardi di spesa. A dirlo è la Corte dei Conti che lo stima infatti, intorno allo 0,5 punto percentuale che ritengo essere, su un sistema così complesso, non dico fisiologico, ma praticamente fisiologico”. E’ con queste parole che apre la sua intervista Federico Spandonaro Presidente C.R.E.A. Sanità (Consorzio per la Ricerca Economica Applicata in Sanità), che partecipa al convegno: “Acquisti in Sanità: Budget, Planning e Controllo” organizzato a Oristano, dall’ ARPES, l’Associazione Sarda federata FARE.
“E’ tempo di rivedere gli strumenti, ma soprattutto la mentalità di quel sistema manageriale che non deve più semplicemente mirare alla riduzione della spesa ma lavorare all’analisi di quanto si sta facendo, per capire se l’efficienza c’è davvero, perché andare in pareggio è un obiettivo, essere efficiente evidentemente è un altro”.
“Per fare questo non c’è bisogno di formule particolari basterebbe restituire alle aziende sanitarie, responsabilità, magari ricordando quella che serpeggiava già nelle norme degli anni 90 dove si parlava addirittura di autonomia imprenditoriale. Le risorse disponibili devono poter essere allocate al meglio anche nel rispetto di un vincolo di bilancio. Il passaggio dal centralismo statale a quello, di fatto regionale, ha infatti limitato l’autonomia delle aziende.
Come si può risvegliare un sistema imbrigliato completamente in un’ottica di risparmio?
“La riforma del 92 ha voluto creare una maggiore efficienza del sistema sanitario introducendo all’interno delle allora Usl, poi diventate Asl, degli strumenti manageriali che aiutassero a efficientare il sistema stesso. La storia racconta che negli ultimi anni quegli strumenti sono stati usati solo per ridurre la spesa facendolo, spesso, con tagli lineari. Ora siamo arrivati al punto di quasi pareggio, se non di pareggio, e i disavanzi praticamente si sono annullati. E’ per questo arrivato il tempo di rivedere quella che era la finalità di tutto il processo, per arrivare a produrre la massima salute possibile, con una corretta spesa. Per fare questo bisogna coinvolgere i professionisti sanitari, che poi sono quelli che materialmente utilizzano le risorse. Io, ad esempio, non ho mai creduto nei costi standard per governare il sistema sanità nel suo complesso, ma ritengo invece proficuo creare un sistema di costi standard a livello di singole prestazioni e di singole unità operative, con le quali i professioni possano misurarsi per capire se effettivamente la loro capacità di gestione sia adeguata o meno”.
Il Codice degli Appalti è in grado di normare questo cambiamento?
“Ritengo che le norme sugli appalti non sono state pensate per gestire un sistema così complesso qual è quello della Sanità. Paghiamo con questa normativa lo scotto di una “visione italiana” molto orientata a pensare a leggi atte a garantire la trasparenza e a evitare gli illeciti. Questo perché purtroppo viviamo in un Paese che si è reso protagonista di storie non proprio edificanti. E’ anche vero però, che questa non deve essere l’unica ratio di queste norme, che invece dovrebbero avere come primo obiettivo quello di garantire la non distorsione dei mercati. Questa mia riflessione forse non interessa direttamente la Sanità o forse sì, visto che la farraginosità delle norme si evidenzia già nella pratica. Penso ad esempio, al fatto che per fare acquisti di prodotti innovativi viene richiesta una commissione di esperti specifica per ognuno dei beni da acquistare, cosa praticamente impossibile se pensiamo al numero di aziende che operano in Italia e al numero molto più basso di esperti disponibili nel settore”.
I Provveditori in tutto questo?
“A mio parere i Provveditori devono diventare sempre più “bravi” in quel lavoro delicatissimo che è quello di cercare un equilibrio tra il bilancio da una parte e dall’altra l’esigenza di fornire e supportare i clinici nella migliore allocazione possibile delle risorse. Quello che a oggi mi rende perplesso è che invece, nella realtà, sono di fatto solo chiamati a fare i guardiani della trasparenza e per questo costretti ad applicare una burocrazia infinita con costi che nessuno, ad oggi, ha ancora seriamente valutato. Penso ad esempio a quante gare si fanno in Italia, in sanità, troppo spesso per gli stessi oggetti. Questo rappresenta veramente un enorme spreco”.
La centralizzazione degli acquisti è allora la buona via?
“La spending review, che ha lavorato solo con i tagli lineari è chiaro che ha privilegiato la centralizzazione, ma superata questa fase credo che bisognerebbe valutare l’economia di specializzazione, con questo non voglio dire di fare una gara per uno spillo, ma certamente saper ragionare tra questi due estremi”.
Enza Colagrosso