Spesa sanitaria delle famiglie a 40 miliardi: il dato è reale, ma le previsioni catastrofiche del Censis sarebbero per Gimbe un falso allarme finalizzato a spingere sul “secondo pilastro”.
Non la manda certo a dire la Fondazione Gimbe, che per bocca del suo presidente Nino Cartabellotta commenta senza mezzi termini i recenti dati diramati dal rapporto RBM Salute-Censis.
Numeri inquietanti
Si legge in un comunicato Gimbe dell’11 giugno: “Anche nel 2018 con il Welfare Day il rapporto RBM Salute-Censis ripropone dati sempre più catastrofici. Nell’impossibilità di aumentare i 12 milioni di italiani che rinunciano alle cure e il 25% della popolazione che subisce danni economici per pagare le spese sanitarie, quest’anno è allarme indebitamento: nell’ultimo anno 7 milioni di italiani “si sarebbero indebitati” per pagare le spese per la salute e 2,8 milioni “avrebbero dovuto usare” il ricavato della vendita di una casa o svincolare risparmi”. .
Molte criticità metodologiche
Gli inquietanti dati del Censis anche quest’anno proiettano su oltre 60 milioni di persone i risultati di un’indagine commissionata da RBM Salute e realizzata tramite un questionario strutturato somministrato ad un campione rappresentativo di 1.000 adulti maggiorenni residenti in Italia. Numerose le criticità metodologiche: innanzitutto, non si conoscono le domande del questionario; in secondo luogo, le tecniche per selezionare gli intervistati non permettono di escludere un “campionamento di convenienza”; ancora, non vengono riportati margini di variabilità sulle stime ottenute; infine, il margine di errore del ± 3,1%, riferito all’intero campione, risulta di gran lunga più elevato per ciascuno dei sottogruppi ottenuti all’interno delle variabili di stratificazione (classe di età, genere, area geografica di residenza, ampiezza demografica del comune di residenza). Lo scorso anno, per le stesse ragioni, puntualizza il Presidente «il Ministero della Salute, con il comunicato stampa n. 75 del 31 luglio, aveva smentito i dati del Censis sulla rinuncia alle cure, sottolineando i limiti dello studio – identici a quelli del 2018 – che riportava risultati di gran lunga più catastrofici di quelli dell’Istat e dell’indagine europea sul reddito e le condizioni di vita delle famiglie».
Numeri dal Rapporto Gimbe
Rispetto all’entità della spesa sanitaria out-of-pocket, dato di partenza di questa raffinata strategia di marketing, precisa Cartabellotta, “il 3° Rapporto GIMBE conferma sì che la spesa delle famiglie nel 2016 sfiora i € 40 miliardi, ma non rileva nessun allarme sul suo incremento, che rimane stabile intorno al 18% sia nel periodo della crisi (2009-2016) sia nel periodo pre-crisi (2000-2008)». Inoltre, l’analisi dettagliata della spesa out-of-pocket permette di mitigare ampiamente l’entità del fenomeno perché dei € 40 miliardi: 3.362 milioni vengono “restituiti” dallo Stato sotto forma di detrazioni fiscali; 1.310 milioni sono relativi all’acquisto di farmaci di fascia A, virtualmente a carico del SSN, ma che i cittadini acquistano in autonomia per loro volontà; 1,5 miliardi sono destinati alla compartecipazione della spesa per i farmaci, ma di questi € 1 miliardo viene sborsato per acquistare farmaci brand al posto degli equivalenti; 5.900 milioni sono destinati a prodotti omeopatici, erboristici, integratori, nutrizionali, parafarmaci, etc., voce di spesa peraltro esclusa dai nuovi conti della sanità dell’ISTAT; 5.215 milioni vengono spesi per farmaci di fascia C e di automedicazione, buona parte dei quali sono di efficacia non dimostrata; 11.000 milioni (che includono € 1.300 milioni di ticket) sono destinati a visite specialistiche ed esami diagnostici di laboratorio e strumentali, di cui una variabile percentuale del 30-50% secondo stime internazionali è inappropriata; 8.500 milioni vanno per le cure odontoiatriche (mai incluse nei livelli essenziali di assistenza); 5.255 milioni per l’assistenza ospedaliera, di cui oltre € 3.000 milioni per la long-term-care; 1.000 milioni per protesi e ausili.
Fonte: Link per scaricare nota integrale