Tra il 2012 e il 2017, il mercato globale dei farmaci biologici è cresciuto del 57% a fatturato, fino a raggiungere i 267 miliardi di dollari, e ha mantenuto un tasso di sviluppo che ha costantemente superato quello delle molecole di sintesi chimica. Sempre a livello globale, i farmaci biologici sono passati dall’ 8% di market share nel 2012 ad una crescita double digit pari all’11% nel 2017 e non sembra ci siano segnali per un’inversione di tendenza. A testimoniarlo è il recente report Iqvia su “Farmaci biologici e biosimilari: scenari terapeutici e stima del risparmio per il Sistema sanitario italiano”.
Un mercato dalle grandi prospettive
A questa crescita –prosegue il report- hanno contribuito principalmente i farmaci biologici a uso oncologico e immunologico, grazie ai lanci di nuovi prodotti biosimilari che hanno ulteriormente consolidato il settore. Considerati gli investimenti dell’industria farmaceutica proprio nel portfolio dei farmaci biologici, le prospettive di mercato a lungo termine sono senz’altro positive. Il mercato dei biologici è tutt’altro che maturo, ed evolverà nei prossimi 5-10 anni grazie a due principali fattori che orienteranno la trasformazione degli scenari attuali: l’introduzione di farmaci biologici in aree terapeutiche in cui sono finora stati assenti e la competizione con i biosimilari.
In vista nuove aree terapeutiche
I farmaci biologici stanno entrando in nuove aree terapeutiche come l’oftalmologia, l’HBV e l’emofilia, solo nel 2017 ci sono state 30 nuove approvazioni negli Stati Uniti da parte dell’FDA e 27 solo nei primi mesi del 2018. Questi nuovi farmaci competono con quelli già in commercio ed espandono il mercato attuale. Un ulteriore livello di competizione nel mercato dei biologici è stato introdotto dalla disponibilità dei biosimilari in tutti i mercati più importanti. Nonostante si siano registrati alcuni disallineamenti nella convergenza tra Agenzie regolatorie (EMA e FDA) sull’approvazione dei biosimilari, che non hanno reso possibile un unico sviluppo costo-efficace di questi farmaci nel mercato europeo e statunitense, i biosimilari sono ormai una realtà rilevante nel mondo farmaceutico e stanno acquisendo priorità sempre più alta per tutti gli stakeholder. I payer utilizzeranno i biosimilari come strumenti per garantire la sostenibilità dei sistemi sanitari e le industrie farmaceutiche saranno spinte a sviluppare nuove strategie di competizione. Sia i medici che le associazioni dei pazienti svolgeranno, sempre di più, un ruolo fondamentale nel formare gli stessi pazienti e i loro familiari sull’utilizzo di questi farmaci. Infine, dal punto di vista regolatorio, le Agenzie saranno chiamate a chiarire sempre meglio le linee guida, mentre le agenzie locali del farmaco dovranno accertare l’efficacia clinica dei biosimilari nel tempo.
Un tasso sempre a doppia cifra
Il tasso di crescita dei farmaci biologici si mantiene a doppia cifra, mentre le vendite delle molecole di sintesi chimica decrescono drammaticamente a causa della crescente genericazione. In termini di penetrazione, Filgrastim guida con una quota dei biosimilari pari all’88%, mentre considerando mercati genericati più di recente come Infliximab, la share dei biosimilari copre quasi la metà del mercato. L’uptake dei biosimilari è diverso da Paese a Paese: per esempio, in ben quattro paesi dell’EU (Finlandia, Norvegia, Polonia e Danimarca), Infliximab ha raggiunto il 100% dell’uptake mentre nei paesi extra-europei non ha superato il 5%. Etanercept in Danimarca ha raggiunto la copertura totale dei pazienti, mentre in Francia e Spagna si è assestata sotto il 10%. Altri farmaci, come l’insulina glargine, hanno avuto una diffusione minore, o nel caso di lancio più recente come Rituximab, adozioni davvero eterogenee, quasi il 70% in UK e solo 10% in Spagna.
E l’Italia?
Nella cosiddetta “Europa a 5”, l’Italia si colloca in una posizione medio-alta nella classifica relativa alla penetrazione dei biosimilari. Con riferimento a infliximab, per il quale il primo biosimilare è stato lanciato nel 2015, l’Italia ha raggiunto una penetrazione del 60,9% nel 2017, grazie alla diffusione tramite gare regionali e alla promozione di AIFA all’utilizzo dei biosimilari, anche attraverso attività educazionali e promozionali. Nella graduatoria, il nostro Paese segue la Gran Bretagna dove la quota del mercato dei biosimilari di infliximab è pari all’88%, prevalentemente promossa da motivazioni di tipo economico. L’obiettivo è il risparmio del sistema e il supporto da parte della classe medica, nonostante quest’ultima sia parzialmente osteggiata dalle strategie delle aziende originator e dall’allocazione dei budget tra ospedali e canale retail. Al contrario, l’Italia precede Germania, Spagna e Francia, dove la penetrazione del mercato dei biosimilari di infliximab è inferiore al 49%, per una maggiore riluttanza allo switch di medici e pazienti e a linee guida regionali differenziate. Nella pratica, la quota di mercato dei biosimilari può variare molto tra le diverse sostanze. Il primo biosimilare dell’insulina glargine è stato lanciato a maggio del 2016 e ha raggiunto il 15% di market share in Italia nel 2017, grazie alle politiche di riduzione del prezzo che ne hanno incentivato l’utilizzo in molte regioni italiane.