Se è vero, come è vero, che la semplicità di accesso agli atti della PA è uno degli “specchi” di una democrazia evoluta, è altrettanto vero che la questione della trasparenza degli atti pubblici, riaperta dal decreto Madia (che interviene pesantemente sul decreto 33/13), va seguita con grande attenzione. Due sono le modifiche principali: la prima è che la domanda di accesso non deve più essere motivata. In pratica si presume comunque la sussistenza dell’interesse viene presunta sempre con la conseguenza che non verrà più richiesto di indicare, nella domanda di accesso, la motivazione, quindi le ragioni che spingono il cittadino a prendere visione degli atti pubblici. La seconda novità, contenuta nell’articolo 3 del decreto “correttivo”, è l’estensione dell’applicazione della norma a tutti i soggetti in qualche modo legati alla pubblica amministrazione, come ad esempio società partecipate, a controllo pubblico, ordini professionali, associazioni, fondazioni, enti di diritto privato finanziati dalla PA o in cui l’organo di amministrazione, tutto o in maggioranza, sia nominato dalla PA. Una rivoluzione che obbligherà gli operatori a una formazione specifica per non farsi trovare impreparati e, quindi, risultare inadempienti.
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