Il titolo I della parte VI del Codice dei contratti pubblici (Dlgs 50/2016), è dedicato al contenzioso, distinguendo tra:
• ricorsi giurisdizionali, ai quali è dedicato l’articolo 204, che, a sua volta, modifica e integra l’articolo 120 del Codice del processo amministrativo; quest’ultimo, come è noto, prevede “disposizioni specifiche” per i giudizi relativi a «provvedimenti concernenti le procedure di affidamento di pubblici lavori, servizi e forniture»;
• rimedi alternativi alla tutela giurisdizionale (articoli 205-211), tra i quali rientrano ora:
• 1) l’accordo bonario (articoli 205-206);
• 2) l’attività del collegio consultivo tecnico (articolo 207);
• 3) la transazione (articolo 208);
• 4) l’arbitrato (articolo 209-210) e
• 5) il parere di precontenzioso reso dall’Anac (articolo 211).
Tutela giurisdizionale. Rispetto al codice del 2006, e al di là di innovazioni puntuali a istituti già esistenti, le vere novità sono rappresentate dal Collegio consultivo tecnico e, più di tutto, dal parere di precontenzioso e dalle raccomandazioni dell’Anac, istituti intorno ai quali appare facile prevedere che si appunterà l’attenzione della dottrina e della giurisprudenza.
L’attenzione del legislatore sembra essere stata rivolta per un verso, alla esigenza di diminuire il contenzioso in materia di gare e, quindi, la sua incidenza sulla celere esecuzione delle opere; per altro verso, alla ulteriore semplificazione e accelerazione delle controversie in materia.
Appare, dunque, opportuno, anche per seguire un ordine dettato non solo dall’incidenza delle novità, ma anche dalla collocazione logico-sistematica degli istituti, iniziare l’analisi della nuova disciplina dai rimedi alternativi alla tutela giurisdizionale.
Il parere di precontenzioso dell’Anac – L’articolo 211 prevede due nuovi strumenti di intervento dell’Anac nell’ambito delle singole gare, volti entrambi a evitare in via preventiva l’insorgenza di contenzioso o (nel caso delle raccomandazioni) anche a definire contenzioso già instaurato:
• il primo è rappresentato dal parere di precontenzioso, che si ha a iniziativa di parte (stazione appaltante o una delle “parti” della gara);
• il secondo è rappresentato dall’atto di raccomandazione, e alla sua adozione può provvedere l’Anac di ufficio.
In base al comma 1, l’Anac «esprime parere relativamente a questioni insorte durante lo svolgimento della procedura di gara, entro trenta giorni dalla ricezione della richiesta», che può esserle rivolta dalla stazione appaltante o da una o più delle “altre parti”.
Il parere che è reso in tal modo è espressamente definito “vincolante”, ma, al tempo stesso, è detto che esso «obbliga le parti che vi abbiano previamente acconsentito ad attenersi a quanto in esso stabilito». Come tutti gli atti amministrativi, il parere è soggetto a impugnazione davanti al giudice amministrativo, ai sensi dell’articolo 120 del Cpa.
La norma, come è facile osservare, pone una pluralità di problemi interpretativi.Occorre, innanzi tutto, chiarire che il parere reso dall’Anac non è un parere “vincolante” nel senso che, sul piano giuridico-formale, si è soliti attribuire ai pareri quali espressione di attività consultiva. Più limitatamente (ed esattamente) esso vincola le parti che abbiano «preventivamente acconsentito ad attenersi a quanto in esso stabilito», così producendosi una sorta di “auto-vincolo”.
In definitiva, il parere vincola chi accetta di vincolarsi (stazione appaltante compresa) e, per migliore chiarezza, sarebbe stato, forse, preferibile che il legislatore evitasse in questo caso l’uso dell’aggettivo “vincolante”, che è tale da ingenerare confusione.
Quanto esposto sembra comportare, per un verso, che il parere è sicuramente “vincolante” per chi lo richiede, non potendo ipotizzarsi una attività precontenziosa dell’Anac di pura e semplice espressione di “opinione”; per altro verso, che l’Anac debba sapere, prima di pronunciarsi, su quali e quanti soggetti della gara ciò che essa dirà risulterà vincolante. Il che sembra ragionevolmente postulare (ma su questo aspetto è facile prevedere istruzioni in tal senso dall’Autorità) che il richiedente alleghi alla propria istanza anche la preventiva “dichiarazione d’obbligo” delle parti che hanno inteso renderla e attenersi al futuro parere.
Oggetto del parere possono essere “questioni insorte” durante lo svolgimento della procedura di gara. Mentre, dunque, non vi è una particolare limitazione quanto all’oggetto specifico del parere, allo stesso tempo non possono essere proposte istanze “teoriche” o “in via preventiva”, essendo necessario che sul punto da sottoporre all’Autorità vi sia già una differenza di vedute tra la stazione appaltante (inevitabilmente) e uno o più partecipanti alla gara.
Legittimati alla richiesta di parere. Legittimati alla richiesta di parere sono sia la stazione appaltante sia «una o più delle altre parti», da identificarsi, come sembra ragionevole, in ciascun partecipante alla gara, con il limite dell’interesse alla soluzione della questione insorta; non potranno dunque chiedere il parere o aderire alla richiesta quei partecipanti alla gara per i quali la soluzione della “questione insorta” non produce alcuna conseguenza.
È evidente che sia per il soggetto istante, sia per coloro che dichiarano preventivamente di attenersi al parere, si produce acquiescenza agli atti amministrativi successivamente emanati e a esso conformi.
Tuttavia, è proprio la possibilità di chiedere il parere indifferentemente offerta a tutti che sembra foriera di possibili problemi. E infatti, qualora l’istanza provenga da un concorrente e a essa non abbia aderito la stazione appaltante, potrà aversi da un lato il parere dell’Autorità che prospetta una determinata soluzione, dall’altro l’atto adottato dalla stazione appaltante, avente differente contenuto.
A ciò deve aggiungersi che, nei casi in cui quest’ultima non si sia preventivamente “autovincolata”, il parere dell’Anac non risulta impugnabile né da chi lo ha richiesto o vi ha aderito (stante l’acquiescenza), né dalla stazione appaltante o da eventuali controinteressati, la prima perché titolare del potere amministrativo “pieno”, e quindi legittimata a provvedere in senso difforme, gli altri controinteressati perché in difetto di interesse, fintanto che la stazione appaltante non ritenga (eventualmente) di aderire all’avviso offerto dall’Autorità – pur non essendovisi preventivamente obbligata – adottando un atto impugnabile.
Né, d’altra parte, la norma prevede una sospensione dell’attività amministrativa in attesa che l’Anac renda il parere richiestole, di modo che, se la stazione appaltante non è essa stessa a richiedere detto parere (ovvero non abbia aderito alla richiesta di un concorrente), essa ben potrà continuare a svolgere la procedura di gara, adottando (anche prima del parere) le proprie unilaterali determinazioni.
Considerazioni. Le considerazioni sin qui espresse sembrano far ritenere che sarebbe stato preferibile che il parere di precontenzioso su “questioni insorte” potesse essere richiesto o dalla (sola) stazione appaltante, ovvero anche da un concorrente, ma previa necessaria adesione della stazione.
Fermi i limiti già illustrati all’impugnabilità del parere (che, come si dirà di seguito, potrebbe essere oggetto di impugnazione autonoma e immediata, ancor prima degli atti adottati dall’amministrazione, se questa è il soggetto istante o ha aderito all’istanza di altri), è previsto che «in caso di rigetto del ricorso contro il parere vincolante, il giudice valuta il comportamento della parte ricorrente ai sensi e per gli effetti dell’art. 26» del Cpa.
Il rinvio dovrebbe riferirsi in particolare al comma 2 del citato articolo 26, dove è prevista la condanna del soccombente al pagamento di una sanzione pecuniaria (ivi quantificata) «quando la parte soccombente ha agito o resistito temerariamente in giudizio».
Le “raccomandazioni” dell’Anac. Il comma 2 dell’articolo 211 prevede l’istituto (totalmente diverso dal parere di precontenzioso) della “raccomandazione vincolante”.
Nei casi in cui l’Anac «ritenga sussistente un vizio di legittimità in uno degli atti della procedura di gara invita mediante atto di raccomandazione la stazione appaltante ad agire in autotutela e a rimuovere altresì gli eventuali effetti degli atti illegittimi, entro un termine non superiore a sessanta giorni».
Nelle due distinte ipotesi in cui non vi sia adeguamento a quanto disposto dall’Anac, ovvero questo non intervenga entro il termine fissato, si hanno due distinte (ma non alternative) conseguenze:
•la prima, consistente nella irrogazione di una sanzione amministrativa pecuniaria a carico del “dirigente responsabile” (che sembra doversi identificare in colui che sarebbe competente all’adozione del provvedimento di annullamento in autotutela). Questi «è punito con la sanzione amministrativa pecuniaria entro il limite minimo di euro 250 e il limite massimo di euro 25.000»;
•la seconda, consistente nella “incidenza” (evidentemente in senso negativo) della sanzione irrogata «sul sistema reputazionale delle stazioni appaltanti» ai fini della loro qualificazione ex articolo 38 del codice. In questo caso, il legislatore sembra riferirsi ai “requisiti premianti”, di cui alla lettera b) del comma 4, dove si prevede che, ai fini della qualificazione, si considera la «valutazione positiva dell’ANAC in ordine all’attuazione di misure di prevenzione dei rischi di corruzione e promozione della legalità». In proposito, è da notare che, se l’omissione o il ritardo del dirigente comportano effetti negativi sulla qualificazione dell’amministrazione, lo stesso dirigente potrebbe essere oggetto di azione di responsabilità per danno da parte dell’amministrazione di appartenenza.
La raccomandazione, in quanto atto amministrativo, è impugnabile innanzi al giudice amministrativo; peraltro, trattandosi di atto vincolante, essa dovrebbe essere impugnata immediatamente (secondo quanto sostenuto per gli atti di tale specie dalla prevalente giurisprudenza: Consiglio di Stato, sezione V, 7 ottobre 2008 n. 4885; sezione VI, 9 giugno 2005 n. 3043: in senso contrario, Consiglio di Stato, sezione IV, 28 marzo 2012 n. 1829), senza cioè attendere il concreto atto di annullamento adottato dall’amministrazione.
Al giudizio, stante il richiamo all’articolo 120 del Cpa, devono applicarsi i termini dimidiati di cui all’articolo 119 del Cpa. Tuttavia, in disparte ogni considerazione di “prudenza”, il termine abbreviato di 30 giorni (in luogo dei 60 ordinariamente previsti) per il ricorso giurisdizionale non sembra essere applicabile anche all’impugnazione della raccomandazione. E ciò sia in quanto, il comma 2 dell’articolo 120, norma di stretta interpretazione, non sembra applicabile al caso di specie, sia in quanto, per le ragioni innanzi illustrate, la raccomandazione vincolante dovrebbe essere essa stessa oggetto di impugnazione immediata.
Una nuova categoria di “annullamento”. Per effetto del nuovo istituto della “raccomandazione”, si produce una nuova categoria di “annullamento” in esercizio del potere di autotutela.
A differenza di quanto si è sin qui sostenuto in dottrina e giurisprudenza (e previsto dall’articolo 21-novies della legge 241/1990), il legislatore ha ora introdotto una tipologia di autotutela che: non consegue a esercizio di potere discrezionale, bensì vincolato e che, dunque, non presuppone alcuna valutazione dell’interesse pubblico attuale all’annullamento, poiché – come è scritto – esso consegue alla sola sussistenza di un vizio di legittimità.
A ciò deve aggiungersi che la stessa rilevazione dell’illegittimità non è effettuata dall’amministrazione che esercita il potere (vincolato) di annullamento, ma dall’Anac, senza che il legislatore abbia previsto alcuna “graduazione” dell’illegittimità riscontrata ai fini dell’adozione dell’atto di annullamento.
Osservazioni e perplessità – Queste ultime considerazioni suscitano ulteriori domande e perplessità.
In primo luogo, occorre chiedersi se, a fronte di un così “costrittivo” uso del potere di annullamento, la stessa omessa rilevazione di illegittimità in una procedura di gara (della quale l’Anac si è occupata nell’esercizio delle proprie funzioni) non comporti responsabilità della stessa Anac.
In secondo luogo, si è detto che l’adeguamento dell’amministrazione alla raccomandazione Anac è attività vincolata, al punto che il mancato o tardivo adeguamento comporta sanzioni. E allora, una volta eventualmente annullata dal giudice amministrativo la raccomandazione innanzi a lui impugnata, e non potendosi attribuire responsabilità ad amministrazioni tenute ad adeguarsi (difettando ai fini della responsabilità la sussistenza dell’elemento soggettivo), occorre chiedersi se non si pongano profili di responsabilità risarcitoria in capo alla stessa Anac, a seconda dei casi sia nei confronti delle imprese “danneggiate” dagli atti adottati dall’amministrazione in pedissequo adeguamento alla raccomandazione, sia da parte dei soggetti sanzionati per il mancato o tardivo adeguamento, sia da parte della stessa stazione appaltante, che ha ricevuto effetti negativi sulla propria “reputazione” ex articolo 38.
Come è dato osservare, il nuovo istituto presenta un tal numero di incongruenze e suscita tali perplessità da far propendere per una riflessione profonda da parte del legislatore, in sede di futura adozione del decreto correttivo.
Tratto da Sanità24 – Il Sole 24 ore