Lo scorso 7 dicembre è stata pubblicata l’attesa sentenza della Corte di Giustizia europea sul caso Snitem – Syndicat national de l’industrie des technologies médicales (C.329/16), relativa ai criteri per qualificare il software come dispositivo medico, che allarga l’area di applicazione oggi della Dir 93/427 CEE e domani del Reg 2017/745 e impatterà in modo importante sul mercato del software medicale e delle app.
La domanda di pronuncia
La domanda di pronuncia pregiudiziale, proposta da Snitem, verteva sull’interpretazione dell’articolo 1, paragrafo 1, e dell’articolo 1, paragrafo 2, lettera a), della direttiva 93/42/CEE del Consiglio, del 14 giugno 1993, concernente i dispositivi medici (GU 1993, L 169, pag. 1), come modificata dalla direttiva 2007/47/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 5 settembre 2007 (GU 2007, L 247, pag. 21).
La controversia
La domanda è stata presentata nell’ambito di una controversia tra, da un lato, il Syndicat national de l’industrie des technologies médicales e la Philips France e, dall’altro, il Premier ministre e il Ministre des Affaires sociales et de la Santé, riguardo alla legittimità dell’articolo 1, punto 3, e dell’articolo 2 del decreto n. 2014-1359, del 14 novembre 2014, relativo all’obbligo di certificazione dei software di supporto alla prescrizione medica e dei software di supporto alla distribuzione di cui all’articolo L. 161-38 del code de sécurité sociale.
Sono dispositivi o no?
In pratica la Snitem ha chiesto al giudice di primo grado e poi alla Corte di Giustizia di valutare se il software che presenti “una funzionalità che consenta l’utilizzo dei dati personali di un paziente al fine di aiutare il suo medico nella predisposizione della sua prescrizione, in particolare rilevando le controindicazioni, le interazioni con altri medicinali e le posologie eccessive” debba o meno essere considerato dispositivo medico, tenuto conto in particolare che lo stesso non risulta impiegato “nel” o “sul” corpo umano.
La pronuncia
La sentenza, molto chiara nelle sue linee generali, ha dato risposta affermativa, stabilendo che anche software e app debbono essere considerati ad ogni effetto dispositivi medici. I Giudici della Corte hanno richiamato fra l’altro il Considerando 6 della dir 2007/47 ove si afferma che “un software è di per sé un dispositivo medico quando è specificamente destinato dal fabbricante ad essere impiegato per una o più delle finalità mediche stabilite nella definizione di dispositivo medico” e partendo da tale assunto hanno dichiarato che il software può essere dispositivo medico anche senza impiego “sull’uomo”. Insomma “il legislatore dell’Unione ha inteso concentrarsi, per qualificare un software come dispositivo medico, sullo scopo del suo utilizzo e non sul modo in cui può concretizzarsi l’effetto che è in grado di produrre sul o nel corpo umano”: dunque “ai fini della qualificazione di dispositivo medico, il fatto che un software agisca direttamente o non agisca direttamente sul corpo umano, non è rilevante, essendo invece fondamentale che la finalità indicata dal fabbricante sia una di quelle previste per la definizione di dispositivo”.
L’interpretazione della Corte
Così dunque ha dichiarato la Corte: “L’articolo 1, paragrafo 1, e l’articolo 1, paragrafo 2, lettera a), della direttiva 93/42/CEE del Consiglio, del 14 giugno 1993, concernente i dispositivi medici, come modificata dalla direttiva 2007/47/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 5 settembre 2007, devono essere interpretati nel senso che un software che, tra le altre funzionalità, consenta l’utilizzo di dati personali di un paziente, ai fini, segnatamente, di rilevare le controindicazioni, le interazioni tra medicinali e le posologie eccessive, costituisce, quanto a tale funzionalità, un dispositivo medico, ai sensi di tali disposizioni, e ciò anche qualora detto software non agisca direttamente nel o sul corpo umano”.