“Sul nuovo Codice degli Appalti si gioca tantissimo del futuro dell’Italia.”
Si tratta di una riforma pilastro, ma non basta che sia fatta: va fatta bene. Pur dando un giudizio positivo sul testo approvato dal governo, specie per quanto attiene alla digitalizzazione dei contratti, riteniamo ci siano diversi punti da migliorare. E se, per organizzare meglio le stazioni appaltanti e creare competenze adeguate, serve più tempo rispetto alla scadenza del 31 marzo 2023, allora facciamo slittare l’entrata in vigore di alcune disposizioni, ovviamente raccordandoci con la Commissione europea.
Le criticità sollevate da ANAC
Anac ha lavorato bene con il Consiglio di Stato e si è fatta promotrice di diverse semplificazioni, normative ed amministrative. Non condividiamo però alcuni punti del testo presentato alle Camere e speriamo che si possa intervenire prima dell’approvazione definitiva. Cito tre punti: l’eliminazione di controlli preventivi per evitare un uso indiscriminato dell’in-house; l’innalzamento a 500.000 euro della soglia per la qualificazione delle stazioni appaltanti; l’allentamento delle garanzie sul conflitto d’interessi; l’uso generalizzato dell’appalto integrato senza motivazioni.
L’appalto integrato senza motivazione
Astrattamente l’appalto integrato è una bella cosa: si affida progetto e costruzione, con tutti i rischi a carico dell’impresa e con certezza di tempi e costi. Di fatto l’esperienza ci dice che le cose non vanno mai così. Dopo l’affidamento, la stazione appaltante si vede presentare un progetto esecutivo che non corrisponde alle sue aspettative. Se si adatta, non fa l’interesse pubblico. Se responsabilmente chiede modifiche, comincia una spesso lunga trattativa con l’impresa, che porta via tempo e conduce inevitabilmente all’aumento dei costi ancor prima di iniziare i lavori. E nel corso dei lavori vengono comunque fuori varianti e contenzioni, allungando i tempi di consegna dell’opera.
Ovviamente non c’è da parte di Anac una opposizione ideologica o preconcetta, solo la valutazione dell’esperienza. Usiamolo allora quando davvero serve, per progetti molto complessi, dove l’impresa deve dare un contributo di innovazione. Altrimenti finiamo solo per penalizzare le piccole imprese e sacrificare la progettazione, cioè la fase in cui concretamente si individua cosa davvero serve all’amministrazione e ai cittadini.
Soppressione del registro ANAC dell’in-house
Purtroppo, la soppressione del registro dell’in-house gestito da Anac nel nuovo Codice è sbagliata. Avere una verifica preventiva per controllare se il soggetto che acquisisce al di fuori dal mercato una commessa pubblica ha i requisiti per non fare concorrenza sleale alle imprese è essenziale. Grazie al registro si verifica se davvero vengono rispettati i requisiti richiesti dalla giurisprudenza comunitaria e due terzi delle domande che ci pervengono non sono in regola. Se si elimina questo filtro, partiranno affidamenti illegittimi. Ha senso questo? Favorisce una migliore gestione e fornitura di servizi? Aiuta a fornire servizi a prezzi più competitivi? Favorisce la libera concorrenza e la scelta dei fornitori migliori? Io credo di no e spero che il Parlamento intervenga anche su questo
Se non si reintroduce l’albo degli in-house, aumenterà il contenzioso. Il controllo preventivo di Anac è un aiuto fondamentale agli stessi enti per fare scelte giuste e operare bene. Altrimenti il rischio è che si fermi tutto dopo, con un’impennata di contenziosi e blocco operativo successivo. Senza considerare che in molti casi manterremmo sacche di inefficienza sottratte allo stimolo del mercato, e quindi al miglioramento del servizio a vantaggio dei cittadini.
Soglia di 500.000 euro per le stazioni appaltanti qualificate
Aver alzato a 500.000 euro la soglia per la qualificazione delle stazioni appaltanti è come sostenere che, poiché in città si va più lenti, per guidare non serve la patente. Cioè consentire di fare appalti fino a mezzo milione di euro anche a chi non è in grado di gestirli, perché non qualificato. E attenzione: si tratta di quasi il 90% del totale degli affidamenti, che sono normalmente di piccolo importo. Rischiamo così che tali appalti, proprio per l’incapacità delle stazioni appaltanti durino molto di più e che i soldi vengano buttati.
Torniamo allora almeno alla soglia di a 150.000 euro. Per gli appalti più rilevanti bisogna essere qualificati.
Oggi in Italia esiste uno numero spropositato di stazioni appaltanti, che non ci possiamo permettere. I più piccoli avranno tutta la convenienza a rivolgersi a chi sa fare le gare, creando una rete di centrali di committenza diffuse sul territorio, al servizio dei piccoli comuni.
Se un comune non ha personale qualificato per fare appalti, i lavori e gli acquisti si fanno male, si spende molto di più del necessario e si perde più tempo. Quando le amministrazioni sono troppo deboli, finiscono per soccombere nella contrattazione con i grandi gruppi privati.
Nessuno vuole bloccare i comuni. Troviamo il modo di accompagnare la transizione con ragionevolezza, ma andiamo nella direzione di avere stazioni appaltanti qualificate, magari attraverso l’assunzione di giovani ingegneri bravi e motivati.
Normativa sul conflitto d’interessi
Purtroppo le disposizioni sul conflitto di interessi finiscono per mettere in secondo piano un elemento essenziale dell’amministrazione: l’imparzialità.
Il testo presentato in Parlamento fa sì che sia difficile che emergano i conflitti di interessi, introducendo una sorta di inversione dell’onere della prova, per dimostrare che il soggetto è in conflitto d’interessi. Noi crediamo che questo non sia conforme alle direttive europee, che hano un’altra definizione di conflitti d’interessi, Paradossalmente, proprio in un settore delicato quale quello dei contratti, si introducono regole ancora più blande di quelle previste in generale per i procedimenti amministrativi dalla legge 241.
Su questo auspichiamo che si mantenga la normativa vigente. Anche se non c’è la bustarella, si danneggia l’interesse pubblico a scegliere l’impresa più capace, favorendo magari quella amica, più vicina al dirigente o all’assessore di turno. Evitare che questo accada non è interesse soltanto dell’impresa che perde la gara, ma della stessa amministrazione e di tutti i cittadini. Delle stesse imprese più capaci e dinamiche, che devono investire in innovazione, non nelle relazioni con il decisore pubblico di turno.
Affidamenti sottosoglia
Anac è per semplificare, e affidare in maniera veloce. Ma attenzione: ragioniamo se davvero sia opportuno prevedere che sempre e in ogni caso si possano acquistare direttamente, senza pubblicità preventiva e senza neanche fare un minimo di analisi di mercato, beni e servizi fino a 140.000 euro. I piccoli artigiani si sentiranno garantiti da tale scelta discrezionale, che in molti enti di piccole dimensioni riguarda la maggioranza dei contratti? E i cittadini potranno fidarsi che questo porti al servizio migliore, più efficiente ed efficace? Purtroppo, in molti casi si finirà per privilegiare i soliti, i più vicini al dirigente o all’amministratore locale, non le imprese migliori, quelle con i prezzi più bassi, quelle che lavorano meglio. A volte, semplicemente perché non li si conosce. Grazie alla digitalizzazione è invece possibile fare in fretta comparazioni e controlli, utilizzando meglio le risorse pubbliche.
Fonte Anac