PERCHÉ IL TAR LAZIO DUBITA DELLA LEGITTIMITÀ COSTITUZIONALE E GLI EFFETTI DELLE ORDINANZE DI RIMESSIONE ALLA CORTE COSTITUZIONALE
Com’è noto, pendono da quasi un anno circa 2.000 ricorsi al TAR Lazio promossi dalle imprese fornitrici di dispositivi medici al SSN per l’annullamento dei provvedimenti con cui le Regioni, in applicazione della normativa sul c.d. payback dispositivi medici – di cui all’art. 9-ter del d.l. 19 giugno 2015, n. 78 . Venerdì, 24 novembre, il TAR Lazio ha pubblicato le ordinanze di rimessione alla Corte Costituzionale con riferimento alle cause che erano state trattenute in decisione all’esito delle udienze pubbliche “pilota” del 23.10.2023. Con la presente breve nota proviamo a riepilogare, a caldo, (i) le principali argomentazioni dell’ordinanza di rimessione alla Corte Costituzionale e (ii) lo stato delle sospensive per le imprese.
Sotto il primo profilo: il Tar Lazio ha sollevato la questione di legittimità costituzionale in relazione all’art. 9-ter del d.l. 19 giugno 2015, n. 78, per contrasto con gli artt. 3, 23, 41 e 117 Cost.
Sono quattro gli snodi fondamentali dell’ordinanza di rimessione:
- diversamente da quanto avvenuto per il payback sui farmaci (Corte cost. 70/2017), in questo caso il legislatore punta semplicemente “a fare cassa”, senza peraltro considerare che i prezzi dei dispositivi medici – diversamente da quelli sui farmaci – vengono decisi sulla base delle gare pubbliche di appalto (art. 3 Cost.);
- l’imposizione del payback costituisce un ingiustificato sacrificio dell’iniziativa economica privata, dal momento che la determinazione dei tetti di spesa è avvenuta ex post, senza che fosse prevedibile dagli operatori economici, obbligando di fatto questi ultimi a eseguire i contratti “in perdita” (art. 41 Cost.);
- l’assenza di criteri e di prevedibilità nella quantificazione del payback determina una insuperabile incertezza nel dettato normativo e nel sinallagma contrattuale, ledendo così il legittimo affidamento degli operatori economici (art. 117, co. 1, Cost.);
- infine, la totale assenza di criteri specifici e vincolanti per le Amministrazioni nella determinazione dei tetti costituisce, di fatto, una sorta di “delega in bianco” al Ministero, in chiara violazione della riserva di legge relativa in materia di prestazioni patrimoniali imposte (art. 23 Cost.).
L’ordinanza del TAR ha, dunque, riproposto in maniera convinta le principali doglianze dei ricorsi precisando, da un lato, le differenze con il payback farmaceutico (già passato al vaglio della Corte che non ne ha dichiarato l’incostituzionalità) e, dall’altro, le ulteriori criticità specie con riferimento ai diritti di libera iniziativa economica privata e di riserva di legge relativa in materia di prestazioni patrimoniali imposte.
Sotto il secondo profilo: è bene chiarire che il TAR ha sospeso i giudizi in cui ha emesso queste ordinanze lasciando impregiudicati i provvedimenti cautelari emessi fino a questo momento. Ciò vuol dire che tutte le imprese che (i) hanno impugnato i provvedimenti relativi al payback dinanzi al TAR e (ii) hanno ottenuto la sospensiva, non possono essere oggetto di compensazioni o azioni esecutive da parte delle Regioni non solo fino a quando la Corte Costituzionale non si sarà pronunciata, ma, anche ove questa si dovesse pronunciare in maniera negativa per le imprese, fino alla decisione di merito del TAR a seguito dell’udienza pubblica che dovrà essere fissata. Ciò riguarda tutte le imprese che hanno ottenuto la sospensiva del TAR a prescindere dal fatto che nel loro giudizio sia stata emanata l’ordinanza di rimessione alla Corte Costituzionale. A tal proposito, è bene chiarire che le “cause pilota” ora al vaglio della Corte Costituzionale sono state selezionate in maniera pressoché casuale dal TAR e, per motivi pratici, fanno da apripista a tutte le altre che, grossomodo, hanno contenuti analoghi. Purtroppo, invece, le imprese che non hanno fatto ricorso al TAR e che, quindi, non hanno ottenuto la sospensione cautelare continuano, nelle more, ad essere esposte al rischio di compensazioni e/o di esecuzione del credito da parte delle Regioni specie se, nelle more, il Governo dovesse decidere di non prorogare ulteriormente il termine per i pagamenti che, attualmente, è fissato alla fine del mese di novembre 2023. Questo perché la rimessione alla Corte Costituzionale non sospende l’efficacia della legge. Detto ciò, le Regioni potrebbero arrestarsi e non procedere con le compensazioni e/o le azioni esecutive tenuto conto che, ove la Corte Costituzionale dovesse sancire l’illegittimità della norma sopra richiamata, allora potrebbero essere costrette a restituire quanto riscosso con aggravio di interessi. Naturalmente, l’Associazione insisterà in tal senso con le regioni pur non potendo assicurare il blocco delle compensazioni/esecuzioni.
Questa è la situazione al momento.
In ogni caso, il team legal è a disposizione degli associati per esaminare eventuali fattispecie particolari a consigliare possibili soluzioni.
Avv. Prof. Gianpaolo Austa