L’acritica aggregazione della domanda di beni e servizi in sanità (e, in generale, in tutta la PA) prevista dalla Legge di Stabilità ma, ancor prima, dalle spending review degli anni passati e delineata, in ultimo, dallo schema di DPCM sulla determinazione delle categorie e soglie di cui all’articolo 9, comma 3, del Dl 66/14, convertito dalla l. 89/14, e che individua le categorie di beni e servizi e le relative soglie di obbligatorietà oltre le quali si dovrà ricorrere ai 35 soggetti aggregatori individuati dall’Anac, è veramente la strada giusta per evitare gli sprechi e, quindi, ottenere l’agognato obiettivo del contenimento della spesa pubblica? E se sì, si tratta di un principio sempre valido che considera l’intero sistema economico o, piuttosto, la ricerca di un risparmio immediato che si trasforma poi in un rischio competitivo? E che dire dell’obbligo di programmazione biennale per gli acquisti che superano il milione di euro, con pesanti responsabilità in caso di omissione? Fra l’altro il processo di aggregazione interessa moltissimo il settore sanitario. Senza “scomodare” la tanto discussa convenzione Consip Pulizie in Sanità, da 1,4 miliardi di euro, e l’attività delle Centrali d’acquisto regionali, basti ricordare che delle 19 voci di beni e servizi elencate nello schema di DPCM sopra citato ben 14 riguardano esplicitamente il mondo sanitario. E d’altra parte il processo di razionalizzazione della spesa sanitaria non è cosa di oggi e neppure di ieri, ma parte addirittura negli anni Novanta. Insomma, il trend è in atto e bisogna dire che effettivamente, una certa razionalizzazione delle centrali d’acquisto era necessaria. Il rischio, però, è quello della chiusura del mercato, con pochi competitors effettivamente in grado di partecipare alle megaconvenzioni. E’ quanto avvenuto nel settore dei servizi, con la gara Consip Scuole nel mirino dell’Antitrust. Spesso, poi, il processo di aggregazione risulta “acritico” e poco funzionale, come nel caso dei macrolotti della gara Consip Sanità, che non rispondono alle esigenze di razionalità e appropriatezza delle forniture. Generando, alla fin fine, un danno economico al sistema, più che un reale risparmio. Attenzione, dunque, ai rischi da mercato chiuso.