Poco più di un mese fa è finita sotto i riflettori dei media di tutto il mondo la notizia che il colosso Ibm era pronto a testare l’efficacia della tecnologia “lab-on-a chip” sul tumore alla prostata, uno dei più diffusi nella popolazione maschile. Si è parlato in particolare di prevenzione del tumore, cioè di scoprirlo prima che esso si manifesti. Lo studio è stato pubblicato sulla prestigiosa rivista Nature Nanotechnology. Ma di che cosa si parla? L’esperto Alberto Vannelli, presidente Erone Onlus, dirigente medico responsabile Uos Chirurgia oncologica Ospedale Valduce – Como, www.albertovannelli.it), spiega sul suo sito: “Si tratta di chip, delle dimensioni di due centimetri quadrati in grado di separare le bioparticelle fino a una grandezza di 20 manometri. La particolarità sta proprio nelle dimensioni: parliamo di un valore 50 volte inferiore alle tecnologie fino ad ora a disposizione. Usando biopsie liquide, ovvero un modello di biopsia meno invasiva di quelle tradizionali, è possibile filtrare e analizzare le cellule di qualsiasi liquido corporeo. Lavorando a questa dimensione è stato possibile riconoscere gli esosomi: pacchetti di proteine, RNA e a volte DNA che sono considerati dei biomarcatori in grado di indicare la presenza di una cellula tumorale. In altre parole con questa tecnologia sarà possibile riconoscere con largo anticipo la presenza di eventi tumorali prima che essi si manifestino.” Lo stesso Vannelli, in un recente intervento su Sanità 24 (8 settembre 2016), approfondisce la riflessione: “La novità, da parte di Ibm, sta nell’aver dimostrato la possibilità di separare bioparticelle con diametro fino a 20 nanometri. Com’è noto, le informazioni genetiche sono nascoste all’interno del nucleo, mentre l’attività di ogni cellula, avviene all’esterno. Quindi lavorando a queste dimensioni si possono riconoscere i custodi di tali informazioni: Rna e a volte Dna, o più in generale gli esosomi, ovvero pacchetti di proteine, che sono considerati i veri biomarcatori in grado, se studiati, di anticipare la presenza di qualsiasi cellula tumorale.” Sempre secondo Vannelli, in quello che per Ibm non è certo un momento felicissimo (il fatturato cala da 17 trimestri di fila e le quotazioni scendono), la scelta del colosso Usa, da sempre interessato al settore sanitario, ha anche un valore profondamente strategico: “Ibm pubblica un manifesto d’intenti, un programma d’azione o forse una dichiarazione di guerra, verso tutte le multinazionali interessate a questo settore. Le conclusioni degli autori pongono le basi per lo sfruttamento di un nuovo filone della ricerca oncologica, dai contorni non ancora ben definiti, fino a ora appannaggio di università e start-up. L’uso commerciale dei lab-on-a-chip consentirà un notevole risparmio in termini di costi, limitando l’uso di reagenti chimici, riducendo l’impatto ambientale, rendendo le analisi molto veloci e più sensibili. Visto lo scarso ingombro, sarà anche possibile realizzare kit portatili per le analisi sul territorio e garantire una migliore diffusione delle campagne di screening.”
Link studio Nature Nanotechnology
http://www.nature.com/nnano/journal/vaop/ncurrent/full/nnano.2016.134.html