Il 19 aprile, in occasione di Exposanità, a Bologna, sono stati presentati i (bei) risultati della recente indagine condotta da Fiaso, Federazione della aziende sanitarie e ospedaliere, e da Rusan (Risorse umane, Sanità, Servizi sociali e salute). Usiamo l’aggettivo “bei” perché, in effetti, l’indagine traccia il ritratto di operatori ancora fieri del proprio lavoro in ambito Ssn e poco inclini a pratiche generalmente riconducibili al malaffare.
Ancora tanto orgoglio e senso d’appartenenza
Coinvolti 1.542 operatori sanitari, impegnati in 24 aziende di 11 Regioni, che costituiscono il campione significativo dell’indagine. Quello che spicca su tutto è l’orgoglio e il senso di appartenenza. In generale si può dire che la stragrande maggioranza degli operatori interpellati: percepiscono ancora un senso nella propria attività; conoscono le regole anticorruzione ma qualcuno esprime dubbi sulla loro efficacia; negano che quelle di deviare i pazienti negli studi privati, di prescrivere farmaci inutili per proprio tornaconto, far saltare le liste d’attesa agli amici o accettare regali siano pratiche diffuse; hanno nei propri dirigenti un esempio di rispetto dell’etica professionale; antepongono l’interesse del paziente a quello economico, anche se sono convinti che l’uso ottimale delle risorse sia indispensabile alla tenuta dell’Ssn. Un sistema sanitario che, pur con tutte le sue “crepe”, resta ancora più appetibile del privato.
Buone le conoscenze sull’anticorruzione
Bassissimo (1 su una scala da 1 a 6) il livello di condivisione riguardo la perdita di senso della propria attività lavorativa per 534 operatori, contro i 128 attestati sul livello 6. I meno soddisfatti, si può dire, sono i medici di medicina generale e tra gli infermieri del territorio. Oltre mille operatori del campione hanno una conoscenza completa o comunque approfondita delle regole anticorruzione, contro i 68 che si attestano sul livello 1. Anche sulla loro utilità convergono molto in 483 e totalmente in 454. Ma meno convinti sono i 137 e 260 professionisti che si collocano ai livelli 3 e 4, mentre in 29 sono niente affatto e in 57 poco convinti della loro efficacia.
Un’etica radicata
Quasi 1100 operatori non condividono affatto l’idea che nel settore non ci sia un’etica del lavoro (appena 23 la pensano diversamente). Che ci sia una diffusa pratica di deviare i pazienti negli studi privati è del tutto escluso da 939 operatori, mentre altri 236 e 107 si collocano sui livelli 2 e 3 comunque di scarsa condivisione dell’idea di un fenomeno diffuso. Condivisa appieno solo da 24 operatori del campione. E a crederci meno di tutti sono proprio i diretti interessati, ossia i medici ospedalieri. Più o meno gli stessi valori si riscontrano rispetto alle altre cattive pratiche di accettare regali, far saltare le liste d’attesa a parenti ed amici, prescrivere farmaci inutili per tornaconto personale. Buoni anche i valori sul piano etico.