Macchinosa, disorganizzata, lenta. Ma chi l’ha detto? I numeri sembrano suggerire proprio il contrario, e cioè che la sanità italiana, oltre a produrre valore, è più dinamica che mai e si piazza al settimo posto dell’economia nazionale per prodotto lordo. Oltretutto costa anche meno, come spesa annua pro-capite, che nel Regno Unito (3.377), in Francia (4.508), in Germania (5.182) e negli Usa (9.403). A certificarlo è il Rapporto Oasi 2016, approfondita indagine sul settore a cura di Cergas – Centro di Ricerche sulla Gestione dell’assistenza Sanitaria Sociale della Bocconi. Stando ai dati, il settore ha mobilitato complessivamente 149 miliardi di risorse di spesa corrente, di cui 115 miliardi finanziati dal Ssn, mentre 34 miliardi sono i consumi sanitari privati. Quelli cioè sborsati direttamente dalle famiglie. Un dato che si sposa perfettamente con il valore del comparto socio-assistenziale che vale altri 40-50 miliardi. E se si aggiunge la produzione di farmaci (24 miliardi), il mondo della sanità rappresenta il sesto settore economico italiano, poco al di sotto del manifatturiero che vale 152 miliardi. È superiore a riconosciuti settori portanti dell’economia nazionale come le attività finanziarie e assicurative (142 miliardi), l’alimentare (129 miliardi), la ricettività e la ristorazione (102 miliardi) o il tessile e la moda (81 miliardi). Per il Cergas, il 70% delle risorse del Fondo sanitario nazionale viene trasferito a economie terze come corrispettivo per beni o servizi – imprese farmaceutiche e di medical device, facility management – o per l’erogazione di assistenza per conto del Ssn (strutture sanitarie private accreditate, farmacie e professionisti convenzionati). Dunque solo il 30% della spesa Ssn è destinata ai dipendenti pubblici, il 36% se includiamo anche la medicina convenzionata. In sostanza il Cergas evidenzia che la spesa sanitaria pubblica si rivela, quasi paradossalmente, un formidabile strumento di politica industriale che consente, di impattare direttamente su settori ad alto livello di tecnologia e sapere specialistico. Perché scegliere quali beni e servizi acquisire determina uno sviluppo correlato che va dalle decisioni di salute allo sviluppo delle altre “anime” economiche del Ssn. Il farmaceutico, i medical device e le grandi infrastrutture si alimentano e riflettono buona parte delle dinamiche presenti nel settore e nel Ssn. La sanità stessa è un settore “labour intensive”, ad alta componente tecnologica e con un corpo professionale tra i più qualificati nell’economia del Paese. Oltre alle correlazioni intersettoriali, il Cergas sottolinea la crescente interdipendenza tra sanità privata e sanità pubblica. un legame fisiologico, perché la spesa pubblica e la spesa privata delle famiglie rispondono alla stessa domanda di salute della popolazione. Ma le politiche pubbliche di regolazione della farmaceutica, della specialistica e della libera professione influenzano indirettamente e direttamente il livello di spesa privata, che per il 14% è generata dal pubblico. In generale, in una lunga e profonda fase di contenimento della spesa pubblica, in cui i livelli di copertura del Ssn diminuiscono con il calare dell’intensità clinico-assistenziale, il mix e i luoghi dei consumi sanitari privati appaiono sempre più complementari e necessari per rispondere ai bisogni di salute. A tal proposito, appare evidente la rilevanza delle visite ambulatoriali private, a fronte della crescente tensione nelle liste di attese del Ssn, oltre che l’ampia quota di spesa privata per medical device, per il comparto socio-sanitario e per l’odontoiatria. Molti pazienti, nei loro percorsi di cura, attraversano di frequente i confini tra sanità privata e sanità in regime Ssn.I dati Cergas, inoltre, dicono che il Ssn ha consolidato nel 2015 un raggiunto equilibrio di bilancio, che va dunque considerato strutturale. Inoltre a livello nazionale, tra 2012 e 2016, i tempi di pagamento massimi delle aziende sanitarie pubbliche sono stati dimezzati, passando da 307 giorni a 161 (Assobiomedica, 2016). La conclusione è che sono calati sensibilmente i tempi di pagamento in regioni caratterizzate da solvibilità critica, come è avvenuto in Calabria (da 1010 giorni nel 2012 a 532 nel 2016), Molise (da 934 a 706), Campania (da 805 a 276) e Lazio (da 411 a 276). La sfida restano i 2,7 milioni di anziani non autosufficienti: un numero che, visti i trend degli ultimi anni, sembrerebbe proprio destinato a crescere.
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