Il costo della manodopera, o in termini più ampi il “costo del lavoro”, è diventato un argomento centrale nel dibattito relativo ai contratti pubblici in Italia. La recente legislazione in materia di appalti ha infatti individuato come obiettivo prioritario quello di contrastare il fenomeno del cd. “lavoro povero”, utilizzando come leva il penetrante controllo preventivo sull’adeguatezza dei salari garantiti ai dipendenti impiegati negli appalti. Di tale finalità si trova traccia già nella legge delega(1), poi recepita nel nuovo Codice dei contratti pubblici (D.Lgs. 31 marzo 2023, n. 36), le cui disposizioni in tema di costo della manodopera hanno suscitato intensi dibattiti. Il riferimento è anzitutto all’art. 11, relativo al CCNL da applicare negli appalti, sul quale ci si soffermerà nel paragrafo 2 del presente contributo. Vi è poi l’art. 41 in tema di scorporo dei costi della manodopera, la cui confusa formulazione è stata inizialmente interpretata come recante un netto divieto di ribasso dei costi della manodopera. Vi si tornerà nel paragrafo 2.
L’indicazione del CCNL negli atti di gara e la “dichiarazione di equivalenza”
L’art. 11 del nuovo Codice dei contratti pubblici(2) prevede che gli operatori economici siano tenuti ad applicare, per tutti i lavoratori impiegati nella commessa, lo specifico CCNL indicato negli atti di gara(3).
È prevista un’alternativa: il concorrente può adottare un differente contratto collettivo, a condizione che esso «garantisca ai dipendenti le stesse tutele di quello indicato dalla stazione appaltante o dall’ente concedente». Alla prima lettura della previsione, sono state sollevate numerose questioni applicative, sia lato stazioni appaltanti sia lato operatori. ANAC, con la relazione illustrativa al Bando tipo n. 1 pubblicata in data 19 luglio 2023(4), ha offerto un utile supporto interpretativo. È stato anzitutto chiarito che per “tutele” si intendono sia quelle economiche che quelle normative.
Inoltre, l’Autorità evidenzia che la locuzione “stesse tutele” non va intesa in modo rigido: per la dimostrazione di equivalenza è sufficiente che le tutele offerte dai due contratti possano dirsi “equiparabili”. Quanto alle tutele economiche, occorre considerare sia le componenti fisse sia le voci variabili e le eventuali indennità, e come già osservato dal TAR Lombardia, Brescia, «non è necessaria la parità di retribuzione, in quanto tale condizione sarebbe equivalente all’imposizione di un CCNL unico», bensì un livello di tutele paragonabile(5). Quanto alle tutele normative, ANAC, riprendendo la circolare n. 2/2020 dell’Ispettorato Nazionale del Lavoro, elenca dodici parametri da considerare nell’esame dei contratti collettivi (es. disciplina del lavoro supplementare, clausole part-time, durata del periodo di prova, previdenza integrativa, ecc.) e suggerisce che l’equivalenza possa dirsi dimostrata in caso di scostamento relativo a soli due parametri. Alcune amministrazioni stanno applicando un modello ancor più flessibile, che non valuta l’equivalenza sulla base di un rigido conteggio dei parametri discordanti, ma prevede la valutazione discrezionale dell’Amministrazione sull’entità dello scostamento(6). Infine, ANAC specifica che la mancata allegazione all’offerta tecnica della dichiarazione di equivalenza non può condurre ad esclusione, trattandosi di documento che può essere prodotto in fase di soccorso istruttorio.
Lo scorporo dei costi della manodopera
L’art. 41, comma 14, del nuovo Codice dei contratti pubblici (D.Lgs 31 marzo 2023 n. 36) prevede che «i costi della manodopera e della sicurezza sono scorporati dall’importo assoggettato al ribasso», ma che allo stesso tempo «resta ferma la possibilità per l’operatore economico di dimostrare che il ribasso complessivo dell’importo deriva da una più efficiente organizzazione aziendale». È immediatamente sorto un interrogativo sull’interpretazione da dare al comma 14: i costi della manodopera, nella vigenza del nuovo Codice, vanno “materialmente” scorporati dall’importo assoggettato al ribasso, e non è dunque possibile proporre ribassi d’asta in relazione a tale voce?
Così sembrerebbe intendere il comma 14, nella parte in cui prevede per i costi della manodopera identico trattamento da sempre riservato ai costi della sicurezza, imponendo che entrambi siano letteralmente «scorporati dall’importo assoggettato al ribasso». Una simile conclusione, pur in linea con il dato letterale, è stata fin da subito ritenuta difficilmente conciliabile con il successivo inciso, a mente del quale «resta ferma la possibilità per l’operatore economico di dimostrare che il ribasso complessivo dell’importo deriva da una più efficiente organizzazione aziendale». Operativamente, non era chiaro se i modelli di offerta economica dovessero essere predisposti con costo della manodopera “bloccato” o, viceversa, ribassabile; con obbligo, in questo secondo caso, di dimostrare che il contenimento dei costi deriva dall’efficienza aziendale, e non da un trattamento salariale inadeguato. Sul punto, hanno espresso il proprio punto di vista ANAC(7), il Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti(8) (MIT), numerosi TAR(9) e il Consiglio di Stato(10).
Si è oggi in presenza di due orientamenti, uno prevalente e uno minoritario.
L’orientamento prevalente è stato ben sintetizzato sempre dal MIT nel parere n. 2505 in data 17 aprile 2024(11).
È stata affermata la possibilità di offrire un ribasso complessivo che coinvolga anche i costi della manodopera, senza che ciò possa condurre ad esclusione.
Semplicemente, qualora l’offerente preveda un ribasso sui costi della manodopera indicati negli atti di gara, la Stazione appaltante dovrà necessariamente chiedere al concorrente di offrire un’adeguata giustificazione, che dovrà essere incentrata sull’efficienza dell’organizzazione aziendale. Ad esempio, il concorrente potrà dimostrare di aver progettato la commessa prevedendo un minor numero di ore di manodopera rispetto a quelle stimate negli atti di gara, senza abbassare la qualità del servizio e con risparmio (legittimo) sui costi della manodopera.
Risulta invece minoritario l’orientamento incentrato sul dato testuale dell’art. 41, co. 14, del Codice («i costi della manodopera e della sicurezza sono scorporati dall’importo assoggettato al ribasso»).
Ad oggi, i soli TAR Campania(12) (Salerno) e Calabria(13) (Reggio Calabria) hanno interpretato l’art. 41 come radicale divieto di offrire ribassi sul costo della manodopera, così assumendo che il ribasso debba essere calcolato sulla “quota” di base d’asta residua, esclusi (“scorporati”) sia i costi della manodopera sia gli oneri della sicurezza.
di Federico Vaccarino – Studio Legale Zoppolato & Associati – Milano – Tratto da TEME 7-8/2024