Il tema dell’assenteismo nei contratti di somministrazione lavoro della pubblica amministrazione

La questione delle ore di assenza dal servizio del personale destinato ad un appalto – generalmente nota come “assenteismo” – è uno degli argomenti più delicati dell’intero panorama degli appalti pubblici. Per “assenteismo”, sia ricordato a beneficio di tutti, s’intendono tutte le ore in cui un lavoratore destinato ad un appalto non presta il proprio servizio per ragioni contrattualmente giustificate; perché, ad esempio, in godimento di ferie, o perché assente per malattia o in ragione di particolari permessi sindacali o di studio. In queste circostanze, ad un’ora di assenza di un lavoratore si associa un doppio costo per l’appaltatore/datore di lavoro: da un lato, dovrà comunque retribuire il lavoratore assente (ad esempio perché in ferie), dall’altro, dovrà anche retribuire un altro lavoratore che sostituisca il primo per l’intero periodo di assenza. Il tema assume portata decisiva in particolare (ma naturalmente non solo) negli appalti di servizi ad alta intensità di manodopera, ove cioè l’incidenza dei costi della manodopera sull’appalto “è pari almeno al 50 per cento dell’importo totale del contratto” (secondo la definizione datane dall’art. 50 del d.lgs. 50/2016) e nel cui ambito, pertanto, il costo del lavoro costituisce la principale componente del quadro di spesa dell’appaltatore.

Com’è facilmente immaginabile, quindi, si tratta della voce che più è in grado di incidere, per le imprese, sulle spese complessive di commessa in questo tipo di appalti: minori saranno le ore di assenza del personale sull’appalto, minori saranno i costi del lavoro cui l’appaltatore dovrà far fronte. La sopradetta – qui semplicisticamente sintetizzata – equazione, è sottesa a tutti gli investimenti in politiche di incentivazione al lavoro attuati dalle principali imprese di servizi, al fine di ridurre il più possibile le ore di assenza non indisponibili (come le ferie, ad esempio, che, anche se non godute dal lavoratore, gli vanno comunque retribuite). Chiaro che, dato lo scenario, quando un appaltatore formula un’offerta nell’ambito di un contratto di servizi a una pubblica amministrazione (soprattutto se quest’ultimo rientra tra quelli labour intensive), deve ben calibrare questo profilo, al fine di garantirsi che, attraverso il prezzo offerto, sia in grado di compensare anche questa voce accessoria del proprio costo del personale nell’ambito della gestione economica complessiva dell’appalto. E tuttavia, se la questione dell’assenteismo impatta così grandemente sulle politiche gestorie e commerciali delle imprese di servizi, lascia per contro totalmente indifferenti le stazioni appaltanti committenti (salvo costringerle, talvolta, a risolvere improbi “rompicapi” quando, in gara, si trovano a dover valutare l’anomalia di certe offerte): queste ultime esternalizzano “in blocco” il servizio al prezzo offerto dall’appaltatore, e quali che ne siano i reali (maggiori o minori) costi di gestioni è profilo rientrante nell’alea dell’imprenditore.

Sotto lo specifico profilo del costo del lavoro, l’impresa che sia in grado, all’interno dei limiti giuslavoristicamente imposti, di massimizzare le ore di lavoro del proprio personale sopporterà una minor spesa, quindi, otterrà un maggior guadagno; viceversa, dovrà sopportare maggiori spese, vedendosi ridotti i guadagni: rientra in ogni caso nell’ontologica natura dell’appalto, il cui rischio imprenditoriale ricade sull’appaltatore, che tale dinamica sia totalmente estranea al controllo (ed in fondo dall’interesse) del committente/pubblica amministrazione.

Quanto brevemente riepilogato sul tema dell’assenteismo, assume contorni inediti nell’ambito di una particolare tipologia di contratti labour intensive: i contratti di somministrazione lavoro stipulati dalle pubbliche amministrazioni. Quest’ultimo è l’unico caso, infatti, in cui si assiste – o meglio si dovrebbe assistere poiché in concreto non sempre accade, per quanto si dirà oltre – ad un totale ribaltamento di prospettiva. Occorre premettere che, rispetto alla natura di questo tipo di contratti, la giurisprudenza amministrativa ha ormai definitivamente chiarito che la somministrazione lavoro non è assimilabile a un contratto di appalto (sulla differenza tra appalto e somministrazione vd. su tutte Consiglio di Stato, Sez. III, 12 marzo 2018, n. 1571: “il contratto di appalto ha ad oggetto un’obbligazione di risultato (con cui l’appaltatore assume con la propria organizzazione il compito di far conseguire al committente il risultato promesso), mentre la somministrazione di lavoro sottende una tipica obbligazione di mezzi (attraverso cui l’Agenzia per il Lavoro si limita a fornire prestazioni lavorative organizzate e finalizzate dal committente)”).

Nel contratto di somministrazione l’Agenzia invia in missione dei lavoratori presso un utilizzatore/pubblica amministrazione, nel cui interesse e sotto la cui direzione e il controllo essi svolgeranno la propria attività, secondo lo schema dell’obbligazione di mezzi: questo particolare rapporto ribalta la prospettiva sull’assenteismo. La somministrazione di lavoro, del resto, è caratterizzata proprio dal fatto che seppure il formale datore di lavoro del somministrato rimane l’Agenzia, il suo sostanziale datore di lavoro/coordinatore diviene l’utilizzatore, cioè la p.a. committente: dunque solo quest’ultima ha la capacità in concreto di incidere – anche – sulle assenze dei lavoratori. Un’altra caratteristica della somministrazione di lavoro incide sul tema dell’assenteismo: per legge, tutti i costi retributivi e contributivi che il formale datore di lavoro (Agenzia) deve sopportare durante l’invio in missione del lavoratore devono essere rimborsati dall’utilizzatore. Dispone, infatti, il d.lgs. 81/2015 (il noto “jobs act”), all’art. 33, comma 2, che “Con il contratto di somministrazione di lavoro l’utilizzatore assume l’obbligo di … rimborsare al somministratore gli oneri retributivi e previdenziali da questo effettivamente sostenuti in favore dei lavoratori”.

Detto articolo prevede dunque un “obbligo” espresso dell’utilizzatore di rimborsare all’Agenzia per il Lavoro gli oneri retributivi e previdenziali da questa “effettivamente sostenuti” per i lavoratori inviati in somministrazione: in altri termini, tutti i costi del lavoro diretto – non essendovene di altra natura che retributivi o contributivi – che l’Agenzia è costretta a sopportare per un lavoratore inviato in missione presso l’utilizzatore. E ciò naturalmente significa che anche i costi di tutte le assenze previste da CCNL e giustificate dei lavoratori somministrati (su tutte, ad esempio, le ferie concordate) dovranno essere posti a carico dell’utilizzatore; né le parti (Agenzia e Pubblica Amministrazione) potranno disporre diversamente in sede contrattuale poiché, come si evince dall’utilizzo del termine “obbligo”, il rimborso, da parte dell’utilizzatore, si configura come un precetto di legge imperativo, come tale indisponibile negozialmente dalle parti ed il cui mancato rispetto da parte dell’utilizzatore configura una chiara violazione di legge.

Dunque, a differenza di un “normale” appalto di servizi, in cui l’assenteismo è tema tutto interno all’appaltatore che potrà, attraverso politiche di supporto e incentivazione al lavoro, marginalizzarne l’incidenza al fine di incrementare i propri margini di guadagno scaturenti dal prezzo (fisso) che l’amministrazione gli corrisponde per la gestione dello specifico servizio, nel contratto di somministrazione è ex lege previsto che tale voce sia posta a carico dell’utilizzatore, che deve rimborsarla all’Agenzia unitamente alle restanti componenti del costo del lavoro. Nonostante il disposto normativo, ed ormai una giurisprudenza anche amministrativa che ha definitivamente superato la (errata) sovrapposizione tra appalto di servizi e somministrazione, è tuttavia significativo che ancora oggi moltissimi bandi delle amministrazioni finalizzati alla conclusione di un contratto di somministrazione di lavoro, continuino a contenere clausole che escludono che la p.a. rimborsi anche le assenze dei lavoratori somministrati. E se non escludono tout court di rimborsare il costo delle ore non lavorate, talvolta i bandi impongono alle Agenzie di farsi carico anche di questa voce di costo nell’ambito dell’offerta economica da presentare in gara, erroneamente assumendo che rientrino nell’alea dell’appaltatore tutti i costi delle ore di assenza dei lavoratori inviati in missione presso la p.a. committente.

L’errato approccio delle amministrazioni al tema del rimborso dei costi per l’assenteismo è stato oggetto di esame anche a livello giurisdizionale; in una fattispecie in cui un’Agenzia per il Lavoro aveva ingiunto alla p.a. di rimborsare tutto il costo del lavoro dei somministrati, comprese le ore di assenza, il giudice ordinario ha concluso – nei termini sopra detti – ribadendo la sussistenza dell’obbligo per l’utilizzatore di farsi carico dei costi dell’assenteismo.
In questo giudizio (si trattava di un giudizio civile ordinario, avendo la p.a. opposto il decreto ingiuntivo ottenuto dall’Agenzia per il Lavoro) si controverteva sui costi delle festività infrasettimanali, il cui rimborso integrale secondo l’Agenzia le era dovuto in quanto facente parte degli oneri retributivi e contributivi sostenuti per il personale somministrato, che la legge (il citato art. 33 del jobs act) pone a carico dell’utilizzatore; la conclusione cui è pervenuto il Giudice Ordinario è stata: “detti corrispettivi, pacificamente pagati ai lavoratori somministrati, devono essere rimborsati all’opposta in forza del citato art. 21 del Decreto Biagi” (Tribunale Piacenza, Sez. Unica Civile, 11 gennaio 2018, n. 19).

Quest’ultimo articolo, nel frattempo sostituito dall’art. 33, comma 2, summenzionato, è di contenuto identico a quello odierno e anch’esso prevede “l’obbligo dell’utilizzatore di rimborsare al somministratore gli oneri retributivi e previdenziali da questo effettivamente sostenuti in favore dei prestatori di lavoro”; di guisa che la predetta sentenza si attaglia tanto alla previgente normativa quanto alla presente. Naturalmente, sia detto per inciso, il rimborso dovuto dal committente riguarda unicamente il costo del lavoro sostenuto dall’Agenzia anche per le ore di assenza giustificate, mentre non è ovviamente dovuta la maggiorazione applicata a titolo di margine di Agenzia; ipotesi, quest’ultima, seccamente da escludersi poiché il margine corrisponde al ricavo dell’Agenzia, che non avrebbe alcun titolo per esserle corrisposto in assenza effettiva di lavoro prestato dal somministrato assente.

L’argomento è complesso e di recente sviluppo, e non ha ancora attecchito nella cultura dei contratti pubblici e, soprattutto, delle amministrazioni committenti, i cui bandi molto spesso violano l’impostazione sopra descritta; tuttavia è opportuno, nell’ottica di una migliore gestione di questa specifica categoria di contratti che, da un lato, le amministrazioni vengano sensibilizzate a prendere atto che in sede di assegnazione di un contratto di somministrazione di personale, resta comunque a loro carico il rimborso per intero del costo del lavoro effettivamente sostenuto dall’Agenzia, di cui dovranno quindi tenere conto nell’individuazione del quadro economico di commessa e nella composizione della base d’asta e, dall’altro, che detto obbligo resta comunque circoscritto alla corresponsione del solo costo del lavoro, e che non è dovuto null’altro che non sia detto rimborso.

di Paolo Cavallo Studio Brugnoletti&Associati

Tratto da TEME 11/12 2022

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