In Italia la sanità non è più per tutti

Dal rapporto Censia-Rbm Assicurazione Salute, sulla sanità pubblica e integrativa, presentato a Roma, a palazzo Colonna, durante il Welfare day 2017 è emerso un dato a dir poco allarmante: “in Italia ormai la sanità non è più per tutti”.

Sale a 35,2 miliardi di euro la spesa di tasca propria per le cure mediche (+4,2% nel periodo 2013-2016) a fronte di una sacca di sanità negata che continua a crescere. I dati parlano di almeno 12,2 milioni di italiani che nell’ultimo anno hanno rinunciato o rinviato prestazioni sanitarie (1,2 milioni in più rispetto all’anno precedente), mentre sono 13 milioni gli italiani, che pur se entrati in un regime di difficoltà economica hanno dovuto comunque pagare di tasca propria le spese sanitarie.

Leggendo ancora i dati si evince poi che tra questi 7,8 milioni hanno attinto ai propri risparmi, altri sono dovuti ricorrere all’aiuto di parenti o amici mentre c’è poi chi, per curarsi, si è addirittura indebitato con banche.

Allarme sottolineato da Marco Vecchietti, Consigliere Delegato di Rbm Assicurazione Salute, che nella sua presentazione ha detto: “Più di un italiano su quattro non sa come far fronte alle spese necessarie per curarsi e subisce danni economici per pagare di tasca propria le spese sanitarie. Intanto la stessa spesa sanitaria privata, che oggi pesa per circa 580 euro pro-capite, nei prossimi dieci anni è destinata a raggiungere la somma di 1.000 euro pro-capite, per evitare il crack finanziario e assistenziale del Ssn. Una possibile soluzione? Occorre puntare su un modello di assicurazione sociale integrativa alla francese, istituzionalizzato ed esteso a tutti i cittadini, che garantirebbe finanziamenti aggiuntivi per oltre 21 miliardi di euro all’anno, attraverso i quali integrare il Fondo sanitario nazionale. Dobbiamo prendere atto che oggi abbiamo un universalismo sanitario di facciata, fonte di diseguaglianze sociali, a cui va affiancato un secondo pilastro sanitario integrativo per rendere il nostro Ssn più sostenibile, più equo e veramente inclusivo”.

E se i poveri piangono, anche i ricchi non ridono infatti se le persone a basso reddito, circa il 74,5%, hanno incontrato difficoltà nell’affrontare la spese sanitarie private anche per il 15,6 delle persone benestanti non è stato semplicissimo. Questo dato acquista evidenza se si pensa che nell’arco temporale 2009/2015 c’è stata una riduzione del valore pro-capite dell’1,1% all’anno della spesa pubblica a fronte di un più 0,8% all’anno in Francia e un più 2% annuo in Germania.

In Italia si destinano dunque meno risorse alla sanità pubblica che negli altri Paesi europei. La domanda a questo punto potrebbe nascere spontanea: “Ma perché gli Italiani si rivolgono alla sanità privata?” La risposta si legge ancora tra i dati del rapporto: L’attesa per le prestazioni sanitarie, nel servizio pubblico, è troppo lunga e spesso richiede anche l’esborso del ticket. Per una mammografia si attendono in media 122 giorni (60 in più rispetto al 2014) e nel Mezzogiorno l’attesa arriva a 142 giorni. Per una colonscopia l’attesa media è di 93 giorni (+6 giorni rispetto al 2014), ma al Centro di giorni ce ne vogliono 109. Per una risonanza magnetica si attendono in media 80 giorni (+6 giorni rispetto al 2014), ma al Sud sono necessari 111 giorni. Per una visita cardiologica l’attesa media è di 67 giorni (+8 giorni rispetto al 2014), ma l’attesa sale a 79 giorni al Centro. Per una visita ginecologica si attendono in media 47 giorni (+8 giorni rispetto al 2014), ma ne servono 72 al Centro. Per una visita ortopedica 66 giorni (+18 giorni rispetto al 2014), con un picco di 77 giorni al Sud. C’è inoltre l’odontoiatria, le lenti e occhiali da vista, le prestazioni di riabilitazione e le spese di assistenza sociosanitaria.

Tutto ciò incorniciato in un panorama che non lascia presagire in futuro migliore. Secondo le stime presentate al Welfare Day nei prossimi dieci anni mancheranno almeno dai 20 ai 30 miliardi di euro per poter garantire l’attuale standard assistenziale da parte del Ssn. Soldi che potrebbero però essere recuperati, ha detto Vecchietti: “(..) rendendo obbligatoria la sanità integrativa per tutti i cittadini, come già avvenuto in Francia, dove grazie ad un sistema di assicurazioni sociali aggiuntivo al sistema pubblico è possibile curarsi liberamente nelle strutture sanitarie che garantiscono qualità e tempi di accesso immediati”.

La proposta di Rbm Assicurazione Salute è stata duplice. Da una parte l’istituzione di un’assicurazione integrativa, sul modello francese, che rappresenti una sorta di secondo pilastro alla sanità pubblica e capace di garantire al sistema sanitario la disponibilità di 22 miliardi di euro/annui aggiuntivi ed un contenimento della spesa sanitaria privata di circa il 50%, passando da 8,7 miliardi di euro a 4,3 miliardi annui e, allo stesso tempo, la promozione di un’assunzione di responsabilità tra i cittadini con i redditi più alti (15 milioni di cittadini), affinché scelgano di affidarsi completamente alla copertura assicurativa privata, per le loro cure sanitarie, con un risparmio previsto per la spesa sanitaria pubblica intorno di svariati miliardi di euro annui.

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