Tratto dal n. 1-2/2021 di TEME
L’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato e la giurisprudenza successiva hanno escluso che, all’esito della stipula del contratto, vi sia la possibilità di ricorrere allo strumento pubblicistico della revoca dell’aggiudicazione, ritenendo che il recesso ad nutum sia l’unico rimedio consentito per sciogliere il vincolo negoziale in essere tra le parti
Ai sensi dell’art. 21-quinquies della legge n. 241 del 1990 la Pubblica Amministrazione, per sopravvenuti motivi di pubblico interesse ovvero nel caso di mutamento della situazione di fatto non prevedibile al momento dell’adozione del provvedimento, può revocare, con efficacia ex nunc, gli atti ad efficacia durevole dalla stessa adottati.
La revoca va tenuta distinta dall’annullamento d’ufficio, previsto dall’art. 21-octies della legge n. 241 del 1990, quale atto di ritiro di 2° grado, con efficacia in questo caso retroattiva (ex tunc) di un provvedimento amministrativo originariamente adottato in violazione di legge o viziato da eccesso di potere o da incompetenza.
Laddove il procedimento amministrativo esiti nella sottoscrizione di un contratto pubblico, occorre interrogarsi in merito ai confini entro i quali la Pubblica Amministrazione possa esercitare i sopra accennati poteri di autotutela in senso “demolitorio”.
In ipotesi di esercizio del potere di ritiro degli atti anteriormente alla sottoscrizione del contratto, non è revocabile in dubbio il pieno potere ablativo dell’Amministrazione.
Come di recente ribadito dal Consiglio di Stato (…) l’aggiudicazione, anche se definitiva, di una commessa pubblica, è assimilabile a un qualsiasi provvedimento amministrativo ad efficacia durevole, quindi può essere revocato da parte dell’organo che lo ha emanato (sent. n. 4514/2020).
Rientra infatti nel potere discrezionale dell’amministrazione disporre la revoca del bando di gara e degli atti successivi, laddove sussistano concreti motivi di interesse pubblico tali da rendere inopportuna, o anche solo da sconsigliare, la prosecuzione della gara (cfr. Consiglio di Stato sez. V, 09/11/2018, n. 6323; Consiglio di Stato sez. V, 04/12/2017, n. 5689; Consiglio di Stato sez. III, 07/07/2017, n. 3359; Cons. Stato, VI, 6 maggio 2013, n. 2418; in termini, Cons. Stato, IV, 12 gennaio 2016, n. 67).
La revoca dell’aggiudicazione avrà quindi l’effetto di annullare la validità di una proposta di aggiudicazione o di un’aggiudicazione efficace qualora sia evidente l’inopportunità o comunque l’inutilità della prosecuzione della gara stessa, oppure quando, anche in assenza di ragioni sopravvenute, la revoca sia la risultante di una rinnovata e differente valutazione dei medesimi presupposti (Tar Campania Napoli Sez. VIII 5 aprile 2012 n. 1646; Trentino Alto Adige, Trento, 30 luglio 2009 n. 228).
Tra le cause di revoca per interesse pubblico vi possono essere altresì motivazioni di carattere finanziario, ed in particolare sopravvenute difficoltà economiche, quali ragioni di revoca degli atti di una gara (cfr. ex multis, Cons. Stato, Sez. III, 29 luglio 2015, n. 3748; Cons. Stato, sez. III, 26 settembre 2013, n. 4809) e ciò vieppiù a dirsi rispetto a manifestazioni di ius poenitendi che non impattano su una situazione di affidamento qualificato, quale quello espresso dall’aggiudicazione definitiva, qui non in rilievo.
Il Consiglio di Stato ha ribadito nel tempo la legittimità della revoca dell’aggiudicazione definitiva per motivi di difficoltà economica, sostenendo che le sopravvenute difficoltà finanziarie possono giustificare dei provvedimenti di ritiro o revoca in autotutela delle procedure di gara fino a che il contratto non sia stato stipulato (Cons. di St., Sez. V, 29 dicembre 2014, n. 6406; Sez. IV, 14 gennaio 2013, n. 156; Sez. V, 2 maggio 2013, n. 2400 e, da ultimo, la nota Ad. Plen. 20 giugno 2014, n. 14).
Nel caso, invece, in cui il contratto sia già stato stipulato, l’esercizio del potere discrezionale trova limite nella sussistenza di un vincolo di natura privatistica, rispetto al quale l’annullamento d’ufficio o la revoca dell’aggiudicazione della gara andrebbero inevitabilmente a gravare.
In tema di esercizio del potere di revoca successivamente alla sottoscrizione del contratto, occorre menzionare due tesi contrapposte.
Secondo la tesi più ampliativa, la P.A. sarebbe legittimata a revocare gli atti di gara anche dopo la stipula del contratto, con caducazione automatica degli atti negoziali conseguenti, stante il nesso inscindibile fra aggiudicazione e vincolo contrattuale.
Altra parte della dottrina ritiene invece che il ritiro dell’atto per sopravvenuti motivi di inopportunità a seguito di nuova valutazione dell’interesse pubblico debba necessariamente ricondursi all’istituto del recesso, in forza del rapporto giuridico di diritto civile instauratosi tra la parte pubblica e quella privata, in seguito alla manifestazione di volontà contrattuale.
A fronte di tali diverse posizioni in dottrina, occorre dar conto che l’orientamento prevalente in giurisprudenza è quello in base al quale la sottoscrizione del contratto costituisce il limite all’esercizio del potere di revoca, oltre il quale l’Amministrazione dovrà far ricorso agli strumenti privatistici.
L’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato (Cons. St., Ad. Plen. 14/2014) e la giurisprudenza successiva (Cass. civ., Sez. Unite, 29 maggio 2017) hanno escluso che, all’esito della stipula del contratto, vi sia la possibilità di ricorrere allo strumento pubblicistico della revoca dell’aggiudicazione, ritenendo che il recesso ad nutum sia l’unico rimedio consentito per sciogliere il vincolo negoziale in essere tra le parti.
La presenza di una disciplina che attribuisce alla P.A., dopo la conclusione del contratto, poteri speciali, quale quello di recesso sopra menzionato, deve dunque imporre, secondo la giurisprudenza, l’attivazione di siffatto rimedio contrattuale, escludendo l’utilizzazione dello strumento pubblicistico della revoca, attinente alla diversa fase di scelta del contraente.
L’unico punto debole di questa tesi è la premessa giuridica dell’identità dei presupposti fra i due istituti, nonostante la revoca debba essere motivata puntualmente, a differenza del recesso che non necessità di supporto giustificativo nei confronti del privato.
La stessa Adunanza Plenaria, per supportare la teoria dell’identità dei presupposti, è stata costretta ad affermare che, sebbene il recesso sia ad nutum, la P.A. dovrà indicarne le ragioni giustificative di interesse pubblico, con facoltà di contestazione della motivazione da parte del contraente privato.
La giurisprudenza riconosce unanimemente la possibilità dell’annullamento d’ufficio dell’aggiudicazione definitiva anche dopo detta stipula, nel preminente interesse pubblico al ripristino della legalità dell’azione amministrativa anzitutto da parte della stessa Amministrazione procedente, “(…) con la caducazione automatica degli effetti negoziali del contratto per la stretta consequenzialità funzionale tra l’aggiudicazione della gara e la stipulazione dello stesso” (Ad. Plen. 14/2014 cit.).
Il fondamento normativo di tale principio, si rinviene nella previsione dell’art. 21-nonies, comma 1, della l. n. 241 del 1990, laddove si fa riferimento anche ai provvedimenti attributivi di vantaggi economici, che non possono non ritenersi comprensivi anche dell’affidamento di una pubblica commessa (Cons. St., sez. V, 26 giugno 2015, n. 3237).
La sorte del contratto in caso di annullamento dell’aggiudicazione
Qual è la sorte del contratto in caso di annullamento d’ufficio dell’aggiudicazione?
Com’è noto, in materia di appalti, il giudice amministrativo, in sede di annullamento dell’aggiudicazione, ha il potere di dichiarare l’inefficacia del vincolo negoziale.
Nel caso di annullamento in autotutela, a differenza dell’annullamento giurisdizionale, per il quale è sufficiente l’illegittimità, è richiesta anche l’esplicitazione delle ragioni di opportunità, quali ragioni di interesse pubblico che hanno fatto prevalere, secondo un giudizio comparativo, uno fra i diversi interessi in gioco.
Da ciò consegue che, nel caso in cui il provvedimento di annullamento d’ufficio non venga gravato o vi sia il rigetto dell’impugnativa, esso si consolida anche nella parte motivazionale – nella quale sono state esplicitate le ragioni di interesse pubblico che rendono recessivo l’interesse del privato alla prosecuzione del rapporto negoziale –, nonché insindacabile da parte del giudice amministrativo.
Diversamente opinando, infatti, al giudice che ha rigettato l’impugnativa avverso il provvedimento di autotutela verrebbe consentito l’effettuazione di una valutazione di merito e non di legittimità, radicalmente preclusa anche in caso di giurisdizione esclusiva.
La conclusione, secondo la giurisprudenza è, dunque, in caso di annullamento in autotutela, il travolgimento del rapporto negoziale.
di Eugenio Tristano – Studio legale Tristano-Roma