Il 26 settembre scorso è stata depositata una sentenza di Cassazione destinata a far molto discutere in fatto di responsabilità del personale sanitario. La Corte di Cassazione sez. IV Penale, con sent. N. 39838/2016, in tema di responsabilità professionale, ha ribadito che il medico che, sia pure a titolo di consulto, accerti l’esistenza di una patologia ad elevato ed immediato rischio di aggravamento, in virtù della sua posizione di garanzia ha l’obbligo di disporre personalmente i trattamenti terapeutici ritenuti idonei ad evitare eventi dannosi ovvero, in caso di impossibilità di intervento, è tenuto ad adoperarsi facendo ricoverare il paziente in un reparto specialistico, portando a conoscenza i colleghi che lo ricevono in consegna la gravità e l’urgenza del caso, ovvero in ipotesi di indisponibilità di posti letto, richiedendo che l’assistenza specialistica venga prestata nel reparto dove il paziente si trova ricoverato, specie nel caso in cui detto reparto non sia idoneo ad affrontare la patologia riscontrata con la necessaria perizia professionale. Per queste ragioni la Corte ha disposto la condanna di un medico di Pronto Soccorso responsabile di non aver allertato lo specialista (in questo caso il cardiologo) in un caso rivelatosi poi mortale. Ecco il fatto esaminato nella sentenza: la paziente era entrata in Pronto Soccorso alle ore 21:30 lamentando epigastralgia e dolore trafittivo fino alla regione paravertebrale con sudorazione; il medico di PS aveva disposto elettrocardiogramma, prelievo di enzimi cardiaci ed esame saturometrico, aveva somministrato un gastroprotettore ed aveva disposto il ricovero presso la divisione di Medicina con diagnosi di cardiopatia ischemica; su disposizione del medesimo sanitario, alle ore 23:30 era stato somministrato un cucchiaio di altro gastroprotettore e, dopo le ore 5:30 a seguito del riacutizzarsi del dolore epigastrico, un’ulteriore fiala di altro gastroprotettore; alle ore 8:00 del giorno successivo era giunto il sanitario di turno ed aveva ricevuto indicazioni circa le condizioni della paziente, tra le quali il fatto che non era stato allertato il medico reperibile di turno in quanto la situazione era ritenuta sotto controllo; il sanitario subentrato, rilevata dal tracciato ECG una lieve sofferenza miocardica, aveva disposto altro elettrocardiogramma e riscontrato un infarto molto esteso in corso; era stato, quindi, chiamato il medico di turno responsabile del reparto ed erano stati sollecitati altri esami, ma la paziente era deceduta alle ore 9:35 a seguito di fibrillazione ventricolare; la causa del decesso era stata individuata dai consulenti tecnici del pubblico ministero in “aritmia ventricolare maligna refrattaria al trattamento rianimatorio per sindrome coronarica acuta per infarto miocardico a sede anteriore in soggetto con aterosclerosi coronarica multivasale”. E nonostante i primi due gradi di giudizio abbiano assolto l’imputato, il medico di Pronto Soccorso è stato condannato per non aver avvertito tempestivamente lo specialista.