Abbiamo appena celebrato il XXII Congresso della Fare (Federazione degli economi e provveditori della sanità) a soli quattro mesi dall’entrata in vigore del Dlgs 36/23, il nuovo Codice dei contratti. Per noi Provveditori, in particolare, questo nuovo testo normativo ha introdotto importantissime novità che danno un risalto diverso alla nostra figura professionale.
Mi riferisco all’introduzione della “logica del risultato” come elemento essenziale per la valutazione dell’acquisto. Proprio per questo è stato scelto come tema della discussione congressuale “La sfida del nuovo Codice dei Contratti pubblici: il risultato che prevale sulla forma. Come gestire il cambiamento e la modifica dei livelli di responsabilità”.
Al legislatore, infatti, è bastato un solo colpo di spugna per cancellare decenni di lentezze amministrative e di scelte “bizantine” giustificate da meandri di norme, spesso divergenti, accompagnate da comportamenti lenti e ridondanti. Per noi però è diverso.
Ora viene premiata la tempestività e si dà valore al risultato. Indubbiamente dovremmo esultare, e noi Provveditori vorremmo essere pronti a farlo. C’è però chi dimentica che alle spalle, o forse sarebbe meglio dire sopra le spalle, abbiamo quella che potrei definire una vera e propria “arretratezza culturale” in cui la nostra categoria è stata costretta a lavorare, negli ultimi venti anni, figlia dalla condizione imposta da normative, spesso repressive e sanzionatrici, che tra l’altro hanno disattivato, in ognuno di noi, qualsiasi volontà di iniziativa.
Unico vero prodotto della situazione in cui siamo stati costretti a operare è stata l’attivazione di quella che potrei definire una “burocrazia difensiva” attenta alla sola estetica del processo ma senza alcuna attenzione o cura per il risultato finale.
La mia, ma soprattutto la nostra, non vuole certo essere una lagnanza e il XXII Congresso della Fare non ha voluto certo rappresentare un’occasione di recriminazione sul passato. Piuttosto lo abbiamo scelto come momento per significare che, seppure non ci sentiamo pronti per questo cambiamento perché non si cancella in un solo istante una costruzione mentale acquisita a proprie spese, anno dopo anno con la scure della sanzione sempre pronta a calare, accogliamo il cambiamento.
Al legislatore vogliamo chiedere però del tempo che per noi sarà fondamentale per riattivare quella capacità di iniziativa che fino a oggi non ci era concessa, o per meglio dire, per bene che ci andava veniva repressa. Abbiamo quindi bisogno di tempo, ma al contempo di alcune certezze. Aspettiamo, ad esempio, che venga chiarito, in maniera inconfutabile, il valore del risultato nella fase del controllo da parte dei diversi organismi interni ed esterni a ciò deputati altrimenti ci troveremmo a lavorare in una sorta di dicotomia che potrebbe solamente lasciarci ingabbiati e quindi nuocere al sistema.
È triste doverlo ammettere: le politiche che hanno gestito il nostro lavoro fino a oggi ci hanno lasciato addosso solo paure e incertezze. E per rendere appieno lo stato d’animo che ci ha condotto nella discussione congressuale, vorrei usare la metafora di quel canarino che dopo decenni di gabbia, quando questa viene aperta per donargli la libertà, non si decide a lasciarla perché ha paura a spiccare il volo.
di Salvatore Torrisi – Presidente uscente FARE
Fonte: Sanità 24 – Sole 24 ore