Quando la sicurezza sul lavoro impatta sui farmaci

E’ un dato inoppugnabile la circostanza che la sicurezza sul lavoro abbia un rilievo determinante negli affidamenti pubblici, soprattutto nel settore dei lavori e dei servizi. La sua declinazione nell’ambito delle forniture sanitarie (nel caso di specie, gas medicale) costituisce una novità oggetto di un’interessante pronuncia del Consiglio di Stato (Sez. III, 18 settembre 2024, n. 7634) che, al tempo stesso, ha chiarito l’impatto della sicurezza sul lavoro nel mercato dei farmaci e le modalità di comprova (ogni oltre ragionevole dubbio) della sua sussistenza.
Il caso controverso riguarda l’esclusione da una gara di un operatore economico che aveva offerto un farmaco il cui contenitore non era conforme alle previsioni del capitolato, il quale prevedeva che il confezionamento primario del prodotto dovesse essere resistente alla rottura per evitare lo spargimento accidentale del gas. Negli intendimenti della stazione appaltante, dunque, il capitolato era stato concepito, per quanto di interesse, per preservare la tutela della salute dei lavoratori che sarebbero venuti a contatto con il farmaco.
Ne consegue il primo insegnamento offerto dal Supremo Consesso, ovvero che nell’esercizio della discrezionalità che le compete la stazione appaltante può determinare le condizioni ritenute idonee per il perseguimento dell’interesse pubblico in coerenza con il principio di risultato proclamato dall’art. 1 del d.lgs. 36/2023 (nel caso di specie, la sicurezza dei lavoratori in occasione della somministrazione del farmaco). L’estromissione del concorrente dalla procedura in ragione della non conformità del confezionamento del farmaco rispetto alle previsioni capitolari pone un altro ambito di considerazioni relative agli affidamenti pubblici, ossia la prova dell’equivalenza delle caratteristiche tecniche di una prestazione rispetto alle indicazioni contenute nella lex specialis.
Da una parte, la stazione appaltante è tenuta ad indicare “in termini sufficientemente chiari” le caratteristiche della fornitura, in modo da consentire agli offerenti di formulare consapevolmente la propria proposta. La chiarezza della formulazione delle clausole capitolari, che grava sulle amministrazioni, costituisce pertanto il secondo insegnamento degli Ermellini. Dall’altra parte, analogo tenore di puntualità viene richiesto all’operatore economico, che è onerato dal dover provare, oltre ogni ragionevole dubbio, l’equivalenza di quanto offerto in considerazione delle previsioni del bando.
Nella fattispecie all’esame del Consiglio di Stato il capitolato era chiaro nel chiedere ai concorrenti la fornitura del farmaco in flaconi resistenti alla rottura per evitare lo spargimento accidentale del gas in esso contenuto, e ciò – negli intendimenti della stazione appaltante – per tutelare la salute e la sicurezza degli operatori che avevano il compito di manipolare i suddetti contenitori. Stante questo presupposto, per l’operatore economico l’aderenza del prodotto offerto alle disposizioni del capitolato non poteva ricavarsi dalla mera conformità alle prescrizioni del d.lgs. 81/2008 (c.d. T.U. “sulla sicurezza sul lavoro”) in quanto detto decreto, per sua natura generale ed astratto, investe i più diversi contesti lavorativi e prescinde dalle specifiche del caso concreto previste dal capitolato (nella fattispecie, contenitore primario del farmaco resistente alla rottura).
In altri termini – questo il terzo insegnamento – l’operatore economico, sin dal momento dell’offerta, deve mettere la stazione appaltante nella condizione di apprezzare se il bene che intende fornire sia conforme al capitolato, nel caso di specie che il contenitore del farmaco fosse a prova di rottura (cosa che tuttavia non ha fatto).
In considerazione della specifica tecnica esposta nel capitolato, al concorrente veniva dunque richiesto di dimostrare che il contenitore fosse a prova di rottura anche in caso di incidente causato da un uso inappropriato o negligente da parte dell’operatore sanitario.
Neppure ai fini di tale prova (di equivalenza) il concorrente poteva invocare l’Autorizzazione alla Immissione in Commercio (A.I.C.) del farmaco, che concerne l’utilizzo del prodotto secondo la sua destinazione terapeutica, o la serie storica del verificarsi dell’evento previsto dal capitolato (rottura del contenitore), sebbene ricavabile da dati e registri ufficiali.
Ne deriva, quarto insegnamento, che a carico del concorrente grava un onere di grande puntualità per provare l’equivalenza delle specifiche tecniche, nel caso di specie quelle necessarie per garantire la sicura manipolazione dei farmaci da parte degli operatori sanitari.
In verità tale onere di precisione investe tutti gli appalti pubblici, a prescindere dal settore merceologico. Non è un caso che, tendenzialmente, è opportuno (rectius, necessario) che la prova di equivalenza provenga dal produttore del bene (cfr. Consiglio di Stato, Sez. V, 10 agosto 2023, n. 7727), anziché da un rivenditore, perché solo chi ha concorso alla costruzione del bene ne conosce a fondo le caratteristiche e, quindi, possiede gli elementi per certificarne l’equivalenza rispetto ad un altro dalle diverse caratteristiche di capitolato. Infine, il quinto insegnamento: non può essere tacciata come restrittiva della concorrenza una clausola, come nel caso di specie, che ha la finalità di perseguire l’interesse pubblico alla sicurezza della somministrazione del farmaco, e più in generale la previsione capitolare che preveda ragionevoli specifiche tecniche delle prestazioni coerenti con l’interesse perseguito dalla stazione appaltante, perché in tale modus operandi è la ricerca della massimizzazione dell’affidamento in forza dell’applicazione del principio di risultato (ex art. 1 del d.lgs. 36/2023) che deve misurare ogni affidamento, sotto o sopra la soglia comunitaria.

Di Lucio Lacerenza – Foro di Roma

Tratto da TEME 9-10/2024

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